
Domenica 1° ottobre, 11:30, città di Ferrara.
Causa pioggia, il porticato del Chiostro di San Paolo è stato adibito a palco e parterre per ospitare la presentazione del libro Tutti i banchi sono uguali. La scuola e l’uguaglianza che non c’è di Christian Raimo (Einaudi, 2017), in dialogo con Girolamo De Michele.
Nel pubblico tanti ragazzi e tante ragazze, insegnanti, professori e professoresse, genitori e genitrici.
Argomento: disuguaglianza a scuola. Nelle classi la disuguaglianza si manifesta o si genera? I professori che di pomeriggio vestono i panni della “scuola diversa”, impartendo lezioni private agli alunni le cui famiglie possono permettersele, inaspriscono le disuguaglianze tra gli alunni e le alunne? Lo Stato attraverso delle riforme o i professori e le professoresse attraverso attivismo, azione politica e collaborazione potrebbero rimettere in sesto la galassia scolastica?
“Non si può parlare di scuola senza pensare alla cittadinanza del futuro” recita la quarta di copertina del libro di Raimo, e aggiunge che “occorre recuperare la centralità della scuola: [… in quanto] luogo dove esercitare l’uguaglianza”.
Raimo le disuguaglianze le misura in termini intelligenti, pratici e universali: la condizione economica familiare, il quartiere di provenienza, la distanza tra casa e scuola, i sistemi di trasporto a disposizione. Ed ecco che alcuni/e studenti o studentesse rivelano di non avere libri o quotidiani in casa, o di impiegare ore a raggiungere la scuola, o di vivere in un quartiere isolato dalle strutture sportive, o di lavorare nei weekend, o di dormire solo cinque ore ed arrivare a scuola senza forze.
In più, ecco una nota importante che sembra arrivare a margine ma che, invece, ha attirato particolare attenzione nonché generato un sonante applauso: e i bambini e le bambine, e i ragazzi e le ragazze, e i giovani e le giovani provenienti da famiglie immigrate in Italia? La pluralità identitaria dei figli e delle figlie di famiglie non (riconosciute come) italiane è una delle eguaglianze che a scuola non c’è? Sì.
È De Michele a portare sul tavolo questo enorme paradosso dell’educazione italiana: “La scuola è inevitabilmente attraversata dalla cultura migrante. […] Ci sono 800.000 studenti [n.d.a. e studentesse] nati in Italia che non hanno la cittadinanza italiana […] alle quali insegniamo cittadinanza e costituzione.” Come si può insegnare cittadinanza a chi non può godere di quei diritti? “La scuola”, continua Raimo, in alcuni casi “non soltanto non contrasta le disuguaglianze esistenti, non soltanto le alimenta, ma le crea ex-novo”.
Secondo De Michele la scuola non ha alternative: deve fornire “strumenti di uguaglianza”. Quando “giriamo la testa, fingiamo di non vedere […] vuol dire che siamo complici di questa società delle diseguaglianze.” E aggiunge, che “martedì prossimo [n.d.a. 3 ottobre] migliaia di insegnanti entreranno in classe con un nastrino tricolore che sta a significare che hanno aderito ad un appello che dice ius soli, ius culturae subito,” per ricordare allo Stato italiano che nelle scuole lo ius soli è già realtà e non c’è motivo, ma soprattutto tempo, di rimandare ancora.
Foto in copertina di Giuseppe Marsoner
06.10.2017
Chiara Forlenza
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