Giochi Asiatici a Doha, Qatar, 2006.
Ruqaya Al Ghasara vince ai 200 metri femminili e in una foto che qui non vi posto, dopo aver esultato, si prostra a terra e bacia il campo da corsa. È un’atleta come tante altre. Il fatto che porti il hijab non la rende speciale. Eppure ricordo una discussione molto animata che trattava proprio l’argomento “hijab e sport”.
Una discussione che avvenne subito dopo una gara di beach volley alla quale la squadra femminile egiziana aveva partecipato indossando abiti a manica lunga e veli sportivi neri come quelli che vedete qui in foto. Immediatamente si erano scatenate le polemiche degli ignoranti: secondo alcuni, infatti, l’essere troppo coperte avrebbe impedito alle giovani atlete di giocare in modo adeguato. Quando in realtà la divisa era comodissima ed era stata realizzata apposta per l’occasione. Altri fecero i soliti discorsi qualunquisti sull’utilità di scoprirsi perché la “cultura di arrivo è questa e ti devi adeguare agli usi e ai costumi della società nella quale vivi”. Come se le libere scelte fossero sempre socialmente negoziabili in nome di un ‘bene’ comune, di un livello di accettazione globale.
Già nel 2006, quindi, vedere una donna con il hijab partecipare ad una gara sportiva non era cosa poi così strana. Eppure ci sfugge un dettaglio molto importante. Crediamo sia stato facile per queste donne arrivare a gareggiare. Ti alleni, sei capace, partecipi alle Olimpiadi. Non funziona così ovunque.
La giovane afghana Mahbooba Ahadyar, ad esempio, fuggì dall’Italia durante un ritiro sportivo stanca e spaventata dalle continue minacce di morte giunte dal suo Paede natio. Mentre Ruqaya lottò contro le frange più conservatrici del Bahrain, lo Stato dal quale proviene, per arrivare a Pechino.
Per quanto il loro hijab sia quotidiana normalità, la lotta ad essere ammesse a gareggiare è diventata il simbolo di una ribellione a tutti gli stereotipi culturali e di genere. Una lotta contro il fanatismo, la violenza, la ghettizzazione.
Robina Muqimyar, altra atleta afghana, è arrivata a Pechino senza uno sponsor, senza un reale allenatore e si è lanciata alla rincorsa del suo sogno sui 100 metri piani. Era cosciente che non avrebbe vinto: in un Paese ancora in guerra senza una concreta preparazione atletica era difficile poter aspirare al podio. Ma è stata comunque felice di aver dimostrato al mondo che una donna può arrivare ovunque se lo desidera. Cosa scontata non per tutte le realtà sociali e individuali.
Cosa voglio dire? Un’atleta che indossa il suo hijab non ha niente di più o niente di meno di un’atleta con una religione diversa e un vissuto diverso. Ma dietro quel hijab, a volte, si nasconde una vicenda più complessa, la guerra contro i separatismi, la lotta per conquistare la libertà, per essere ammesse a vivere una vita normale e non ai margini della società. E questo non vale solo per i Paesi di origine ma anche per quelli dove siamo cresciuti. Perché l’evoluzione culturale ci fa ancora guardare alle donne con il hijab in modo diffidente, arrivando a considerarle incapaci di raggiungere obiettivi concreti e professionali nei casi più gravi.
Il hijab resta ancora per molti simbolo di sottomissione sociale, pubblica e privata.
Queste donne, e molte altre ancora, hanno dimostrato che il hijab serve a celare i capelli, non l’intelligenza, non la grinta, non la capacità, non la determinazione, non la forza, non il cervello.
Ester Arguto
ma la religione deve davvero essere una cosa così importante tanto da doverla segnalare nel vestiario? Perchè un atleta cattolico non sente la stessa esigenza? Perchè io non credente non sento il bisogno di indossare un abito che faccia sapere a tutti come la penso? Lo dico col massimo rispetto per il vissuto di queste ragazze e per le difficoltà che hanno sostenuto e superato. Io sostengo che correre così coperti non aiuta il risultato e ti penalizza rispetto alle atlete. oltretutto vorrei capire perchè gli atleti maschi musulmani possono gareggiare vestiti come i non musulmani senza alcuna penalizzazione atletica.
Comunque per me una donna con l’hijab è liberissima di indossarlo come è liberissima l’atleta che non lo indossa, ma dire che non pregiudica la performance sportiva..mah!
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fermo restando che le atlete musulmane che lo vogliono hanno diritto di indossare l’hijab
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