“Ignorare la salute mentale dei più giovani sopravvissuti alla guerra è potenzialmente distruttivo. Per tutti.” – SLUM

Occuparmi quotidianamente di Siria mi ha portata ad imbattermi, seppur al momento solo virtualmente, in donne, uomini e bambini coraggiosi, profondamente credenti e speranzosi. Quando provo a mettermi nei loro panni sento un vuoto scavarmi l’anima e strapparmela via senza pietà. Penso al mio quotidiano, alle mie difficoltà e mi chiedo come si possa sopravvivere psicologicamente in una zona di guerra. Penso al mio “fratello” siriano A*, detenuto nelle carceri del regime di Assad, a quando ebbe un crollo psicologico poco prima dell’arresto. Cominciò a soffrire di allucinazioni e di problemi legati alla personalità. Era con molta probabilità affetto da PTSD (sindrome post traumatica da stress). A* aveva appena 18 anni quando il conflitto esplose. Un conflitto che molti, più o meno ingenuamente, credevano potesse durare pochi mesi, spinti dall’ottimismo di alcune rivolte finite con la caduta del tiranno. Così non è stato. La guerra in Siria dura da ormai quasi 7 anni e miete vittime quotidianamente. Uno degli aspetti che meno viene trattato è quello psicologico. Cosa ne sarà di un ragazzino orfano che ha perduto tutto? Riusciranno a riabilitarl* o crescerà covando nel cuore un odio profondo per il resto del mondo che ha lasciato che la sua giovinezza le venisse barbaramente strappata via?

Decine, centinaia, migliaia di rifugiati finiscono per vivere in condizioni precarie in tende improvvisate o in luoghi dove vengono sistematicamente emarginati. Nel 2017 sono stati registrati almeno 250.000 rifugiati siriani, molti di loro hanno perfino perso la vita nel tentativo disperato di superare confini turchi o del vicino Libano. Freddati, giustiziati perchè forse scambiati per malfattori o terroristi, o forse a causa di pura e semplice crudeltà. Tra queste vittime ci sono anche bambini.

Trauma e reclutamento

Il caso ha voluto che io mi imbattessi proprio nell’articolo del “The conversation” http://theconversation.com/why-ignoring-mental-health-needs-of-young-syrian-refugees-could-harm-us-all-88284 dove l’autore tiene anche a ricordarci quanto questa indifferenza nei confronti dei traumi causati dalla guerra, possa danneggiare anche noi,nelle nostre, non troppo lontane “isole felici”. Nell’era del reclutamento terroristico digitale e del sedicente Stato Islamico (ISIS) non è escluso che molti possano tentare di colmare vuoti esistenziali in gruppi terroristici. Morire in nome di una causa criminale, diventa una opzione allettante, perchè la vita è diventata troppo piatta e il dolore del conflitto è ancora forte, così come l’odore della vendetta. Un occhio per occhio, dente per dente, del quale, ahimè, siamo complici anche noi. L’ISIS è inoltre noto per il reclutamento di bambini anche sotto i 10 anni di età. Bambini fragili, divorati dall’interno o spinti dal fanatismo degli adulti. Ottime vittime di un accurato lavaggio del cervello.

La speranza e i sogni

Nell’articolo, il dottor Zahel del SAMS (Syrian American Medical Association) tuttavia ci rassicura e ci dice che nonostante tutto, dobbiamo continuare a guardare i sorrisi di quei piccoli eroi con i piedini nel fango.

Non ho mai visto tanti sorrisi . La resilienza dei siriani mi commuove e mi fa interrogare su ciò che io stessa sono. Faccio abbastanza per essere felice e per realizzare i miei sogni? I bambini siriani continuano a guardarci con gli occhi grandi, rotondi e un po’ lucidi. Sognano la fine del dolore, della guerra e del trauma. Sognano di diventare astronauti, medici, dentisti o calciatori. Sognano l’inizio di una favola, nonostante tutto ciò che li circonda somigli piuttosto al peggiore dei film dell’orrore mai ideato.

Rina Adeelah Coppola

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