Sta circolando da qualche giorno un video sottotitolato in italiano in cui un ragazzo egiziano viene verbalmente aggredito in una trasmissione televisiva per la “colpa” di essere ateo. Con una breve ricerca, si può risalire alla prima versione in italiano e alla versione sottotitolata in inglese dalla piattaforma MEMRI, ed i commenti sono essenzialmente quasi tutti di sdegno. Precisamente, si tratta di alcuni spezzoni del programma andato in onda questo 11 Febbraio per lo studio televisivo egiziano Alhadath Alyoum TV, in cui erano chiamati a “dibattere” l’ateo Mohammad Ashem e lo sheick Mahmoud Ashour.
Per evitare che l’argomento sia trattato in maniera superficiale, abbiamo chiesto aiuto a delle persone “esperte nel e sul campo”. Facciamo dunque il punto della situazione.
Anche il governo in Egitto ripudia le persone atee
“Senti caro Mohammad, hai bisogno di un trattamento psichiatrico. Oggi tanti giovani soffrono di malattie mentali per qualche… motivo, materiale o mentale.”
Questa è stata la risposta dell’ex vice sceicco di Al-Azhar al giovane ragazzo che stava spiegando il perché del suo ateismo, ed in verità l’immagine ben rappresenta la percezione che si ha in Egitto delle persone atee. Un gruppo di diavoletti che cercano di devastare il paese con delle “credenze distruttive”.
In Egitto sono ormai innumerevoli le persone arrestate e sbattute in prigione per la divulgazione di pensieri anticonvenzionali. Tra queste Karim al-Banna, uno studente di 21 anni condannato a tre anni di prigione per aver dichiarato su Facebook di essere ateo, una sentenza addirittura più dura di quella solitamente data ad un colpevole di stupro, che non supera i due anni di carcere. L’avvocato di Karim ha denunciato che al ragazzo non è mai stato concesso il diritto di difendersi in tribunale, ma quel che è più straziante che tra i testimoni dell’accusa vi era anche il padre. E non è finita qui. I legislatori in Egitto stanno in realtà già prendendo in considerazione la criminalizzazione dell’ateismo. In altre parole, sarà illegale non credere in Dio. È così ridicolo che verrebbe da ridere e piangere allo stesso tempo.
La legge egiziana sulla blasfemia, inserita nel codice penale del paese nel 1982, afferma che chiunque insulti le religioni abramitiche o le usi per diffondere discordia e danneggiare l’unità nazionale deve essere confinato per un periodo compreso tra 6 mesi e 5 anni, o pagare una multa non inferiore a 500 sterline e non superiore a 1000 sterline.
Pare che lo scopo di questa legge fosse proteggere le minoranze (cristiani ed ebrei), ma è piuttosto ovvio che se ne abusa per altri fini. Parlare delle proprie opinioni sull’esistenza di Dio o mettere in discussione l’autenticità delle religioni è vista come una trasgressione, e se lo fai… in un batter d’occhio sei detenuto dal governo. Ed è già successo più di una volta!
Nel 2012, un blogger di 27 anni, Alber Saber, è stato condannato a tre anni do reclusione con l’accusa di blasfemia per aver creato una pagina web chiamata “Alhadath Alyoum”. Grazie agli articoli 89 e 110 del decreto legge 78, tutti gli egiziani hanno il diritto di presentare cause legali contro coloro che hanno trasgredito un diritto esaltato di Dio, per questo gli atei tendono a tenere le proprie convinzioni per sé, dal momento che anche la famiglia potrebbe rappresentare un pericolo.
Purtroppo, il governo di Abdel-Fattah el-Sisi ha duramente perseguitato gli atei sin dall’inizio. El-Sisi chiarì durante uno dei suoi discorsi di voler iniziare una “rivoluzione religiosa” con i suoi fedelissimi leader musulmani.
Difatti, il nuovo governo burocratico ha presto annunciato un nuovo piano per sradicare l’ateismo con gli aiuti di Al-Azhar, che aveva ha iniziato la guerra molto tempo prima.
L’Università di Al-Azhar, Islamic Research Council (IRC) mantiene una posizione di rilievo in politica dal 1985, facendo da guida rigorosa per il governo in merito alle questioni religiose.
L’IRC ha accusato diversi scrittori e romanzi di essere blasfemi ed è riuscito a mettere al bando e censurare numerose storie, concepite come profane. Non solo, ma il primo di Giugno 2004, il ministro della “giustizia” Faruq Seif Al-Nasr ha dato all’IRC il permesso di confiscare qualsiasi audio o videoregistrazione che trovassero trasgressivo.
In Medio Oriente esistono paesi in cui la libertà non esiste, luoghi dominati dall’ignoranza e dalla paura. L’ignoranza non fa la felicità, è una malattia capace di rovinare un intero continente.
Gli atei egiziani sono in pericolo e hanno paura di condividere le loro opinioni, ma il lato positivo è che il numero di atei sta aumentando in modo significativo, e l’unione fa la forza. Dar al-Ifta, l’istituto per lo studio della legge islamica responsabile dell’emissione di editti religiosi, nel 2015 ha divulgato un rapporto affermando che l’Egitto ha il più alto numero di atei in Medio Oriente, 866 persone. Stanno cercando di far credere che su una popolazione di 87 milioni di persone solo 866 persone sono atee. È indubbiamente assurdo, stanno cercando di far sentire le persone non credenti isolate e abbandonate, ma non riusciranno mai a farlo. Si può distruggere una persona, rovinarle il futuro, torturarla, ucciderla, ma non si può distruggere un’idea.
Ringraziamo un* coraggios* ate* egizian*, per SLUM The White Raven, per questo importante paragrafo.
Ancora una testimonianza da SLUM: Zaynab ci racconta l’esperienza del padre
Diversə di noi slumminə conoscono personalmente persone egiziane che condannano pesantemente “atei e omosessuali”, due categorie discriminate e molto spesso citate assieme, qualcuno dichiarando in modo paternalistico di “doverle riportare sulla retta via”. Più attendibile di noi è Zaynab Habib, una donna italo-egiziana, femminista e musulmana.
Mi chiamo Zaynab e sono nata dall’unione di una madre italiana e di un padre egiziano, che oggi non c’è più. Quest’ultimo, Abdel Fattah, mi ha volutamente passato ben poco della sua cultura d’origine, tanto che qualche anno fa sapevo poco sia d’arabo egiziano e sia di Islam, la mia religione, e ho dovuto recuperare con le mie forze. Il perché si capisce.
Mio padre è diventato ateo dopo essere stato obbligato dai genitori sin da piccolo a imparare l’arabo coranico, a pregare, ad andare in moschea e a imparare a menadito la religione del suo Paese. È stato obbligato a suon di urla e colpi di scopa in testa, ma mentre sua sorella è diventata una sorta di “talebana”, lui ha sviluppato poi un senso di rifiuto definitivo per l’imposizione e per la morale dei suoi concittadini. Purtroppo qui in Egitto si è molto, molto intolleranti contro gli atei, e se nelle grandi città è già un problema esserlo, figuriamoci nei paesini dalla mentalità arretrata come quello in cui è cresciuto lui, in cui un ateo o un ex musulmano convertito ad altra religione viene perseguitato o una musulmana senza velo è di certo una poco di buono. “Purtroppo in Egitto ci sono un sacco di pazzi e di estremisti” mi diceva con amarezza “in questa società non posso tornare”, né tanto meno avrebbe potuto sbandierare il suo ateismo o manifestare, tenendo alla pelle. Sapevamo bene che non avrebbe neanche potuto accompagnarmi in moschea, qualora mi fossi sposata in Egitto, e che anzi, non sarebbe proprio potuto tornare a meno che non avesse dichiarato di essere musulmano sui documenti necessari. Sì, perché in questo mio Paese ogni pezzo di carta deve qualificarti almeno come credente se vuoi avere una vita tranquilla. Per la sepoltura di mio padre non abbiamo potuto scrivere “ateo” e certo per fare i miei documenti ho dovuto attestare di essere musulmana, e la procedura è stata lunghissima e sofferta. Anche sui passaporti abbiamo un codice che se analizzato al computer dice i nostri dati e la nostra fede. Oggi, soltanto con avvocati su avvocati si può riuscire ad ottenere un documento privo di quella dicitura.
La violenza e l’imposizione non creano mai dei sentimenti sinceri verso la fede e non incoraggiano le teste pensanti ad avvicinarsi all’Islam. La situazione deve cambiare.
In generale, MEMRI è davvero un sito affidabile?
Questo è un doveroso avviso che vogliamo darvi perché ricordiate che Memri non è, in generale, una fonte sicura, benché stavolta abbia riportato delle giuste informazioni.
Nell’era dell’informazione fare disinformazione è diventato estremamente facile: dai titoli ingannevoli creati ad hoc per ricevere più click alla decontestualizzazione totale di una citazione o piccole variazioni nella narrazione così come traduzioni errate, le ricette per un gustoso cocktail di fake news sono veramente tante.
Claire Wardle, ricercatrice di comunicazione mediatica e politica presso Shoreinstein center dell’università di Harvard, ha individuato gli ingredienti principali di questo cocktail che ci procurano una visione offuscata e contorta all’istante:
Collegamento Ingannevole: quando titoli, immagini o didascalie differiscono dal contenuto.
Contenuto Ingannatore: quando il contenuto viene spacciato come proveniente da fonti realmente esistenti.
Contenuto falso al 100%: quando il contenuto è completamente falso, costruito per trarre in inganno.
Contenuto manipolato: quando l’informazione reale, o l’immagine, viene manipolata per trarre in inganno.
Manipolazione della satira: quando non c’è intenzione di procurare danno, ma il contenuto satirico viene utilizzato per trarre in inganno.
Contenuto fuorviante: quando si fa uso ingannevole dell’informazione per inquadrare un problema o una persona.
Contesto ingannevole: quando il contenuto reale è accompagnato da informazioni contestuali false.
Se controllare la veridicità delle notizie locali o nazionali per il lettore medio risulta difficile, verificare l’autenticità di notizie provenienti dai paesi più lontani diventa un’impresa ardua se non impossibile. È in questo clima che è nata MEMRI- Middle East Media Research Institute, organizzazione „no-profit“ fondata dall‘ex colonello del Mossad (l’intelligence israeliano) Yigal Carmon con l’obbiettivo, come riportato nel loro sito ufficiale, di „eliminare la barriera linguistica tra il Medio Oriente e l’Occidente, offrendo uno specchio delle notizie e delle pubblicazioni attuali“. Con la sede principale a Washington D.C. e svariati uffici a Gerusalemme, Berlino, Londra e Tokyo MEMRI si occupa di riportare “traduzioni accurate” di notizie pubblicate o trasmesse originariamente in arabo, persiano, pashtu, dari e l’ebraico; lingue poco conosciute o addirittura considerate esotiche nel mondo occidentale. La diffusione delle “traduzioni” avviene tramite MEMRI TV cosi come il loro webpage online ma al contrario di molti media la cosa non finisce qui: come riportato da Brian Whitaker, giornalista di The Guardian, dal 2002 lui e altri suoi colleghi cosi come diversi membri del congresso degli Stati Uniti iniziarono a ricevere in modo totalmente gratuito articoli tradotti in inglese, via mail con l’esplicito invito a divulgare la notizia. La natura delle traduzioni ricevute più volte a settimana lasciò Whitaker, come lui stesso racconta nel suo pezzo Selective MEMRI, abbastanza perplesso: la narrativa fin troppo simile faceva pensare ad un’attenta selezione di notizie per creare indignazione nel pubblico occidentale, il tutto accompagnato con un pizzico di sale e pepe. Ibrahim Hooper di Council on American-Islamic Relations ha infatti rimarcato più volte le divergenze semantiche e le omissioni di alcune parti dell’articolo o del video nelle traduzioni:” L’intento di MEMRI è quello di trovare le peggior citazioni o notizie possibili provenienti dal mondo musulmano e divulgarli il più possibile, ignorando completamente le opinioni mainstream o più moderate.”
Certo, MEMRI potrebbe anche selezionare le notizie peggiori per combattere l’estremismo e promuovere la tolleranza, peccato che nessuno degli articoli tradotti dall’ebraico rappresenta un tono cosi estremo come quelli provenienti da fonti arabe o persiane. In più, Whitaker e i suoi colleghi dichiarano di non aver mai ricevuto via mail traduzioni dall’ebraico con l’immancabile invito a divulgare la notizia. Haaretz, il quotidiano israeliano più antico, ha più volte sollevato dubbi sul materiale condiviso da MEMRI.
I video sottotitolati divulgati da MEMRI sono stati più volte oggetto di controversia: il ricercatore Norman Finkelstein per esempio, accusò nel 2006 MEMRI di aver tagliato la sua intervista con una televisione libanese facendo sembrare che lui stesse negando l’olocausto, quando i genitori di Finkelstein stesso sono entrambi ebrei sopravvissuti all’olocausto. Oltre alle omissioni, MEMRI è stato più volte accusato di aver fornito traduzioni sbagliate. Il caso più famoso risale al 2007 quando MEMRI diffuse un video di qualità molto bassa nel quale una ragazza adolescente grida “Bitokhoona al-yahood”, tradotto “we will annihilate Jews” ossia “uccideremo gli ebrei” mentre la traduzione corretta sarebbe stata “gli ebrei ci stanno uccidendo”. Yigal Carmon durante un’intervista con la giornalista del CNN Octavia Nasr invece di dare una risposta al riguardo, disse più volte che Nasr pur essendo madrelingua araba non capiva il video perché la parola yahood era pronunciata alla fine. Le spiegazioni di Octavia Nasr riguardo alla presenza dei casi in arabo, motivo per cui il soggetto si trovava alla fine della frase verbale furono completamente ignorate da Carmon che continuava a ripetere “tu non capisci”. Peccato che gli altri traduttori presenti confermassero la traduzione di Nasr.
Per chiarire quanto la posizione di MEMRI sia controversa basta menzionare che sembra impossibile poter trovare un indirizzo di questa organizzazione. In nessuna delle città in cui ha una sede. Questo velo di mistero attorno ad un’organizzazione no-profit o un media non ci aiuta molto a classificarlo come “trasparente”.
Ringraziamo la brillante Behnaz Siasi, studentessa di Lingue per lo sviluppo e relazioni internazionali
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