La maschera che copre il sangue delle donne – SLUM

Pirandello ce ne ha parlato parecchio, in realtà se ne parla dal Medioevo, esisteva anche negli antichi egizi e come le mode ritorna prima o poi sulla bocca di tutti: il concetto di maschera, tanto disprezzato, amato, incompreso e interpretato. Dalle vesti carnevalesche alle nostre mille personalità, la maschera concretamente o astrattamente copre qualcosa di umano, che sia il volto o il nostro essere. Nella mia breve vita posso dire di aver incontrato, almeno di primo impatto, lungo il mio cammino “troppe maschere e pochi volti” così cito la celebre frase dello scrittore di “Uno, Nessuno, Centomila” ricordando un episodio in cui, non molto tempo fa, ho visto la concretizzazione di un concetto di maschera portata tutti i giorni, che ho sempre visto e sentito ma mai prima d’ora mi ha colpita così tanto.

Conosco questa Donna fin da piccola, ha più di sessant’anni, ma ne dimostra meno e quando sorride ha i tratti di una bambina, di un’infanzia ormai passata ma non vissuta. In un pomeriggio di inverno ci troviamo a parlare con davanti a un thè caldo di diritti umani, ma soprattutto della situazione egiziana riguardo quest’ultimi, che sembra essere tra le peggiori conosciute. Viene spontaneo parlare della Donna e la sua condizione, due generazioni diverse a confronto con le stesse origini che discutono degli stessi problemi sociali riguardanti il nascere femmina in un paese bellissimo ma sporco di sangue. Ma quando incomincio questa discussione il volto di questa Donna cambia, la spensieratezza sembra scomparire in un attimo, e gli occhi si fanno vuoti e un leggero tremore avvolge le sue mani; con un fil di voce mi dice che se lo ricorda quel giorno, non nel dettaglio, vorrebbe dimenticarlo. Rivive quell’istante in cui all’età di 5 anni circa (ha subito un trauma troppo forte per ricordarlo chiaramente) le è stata tolta la dignità, il rispetto e l’infanzia, così con un coltello freddo sulla carne calda. Mi guarda negli occhi e vedo delle lacrime, con un luccichio di forza che mi penetra e mi gela. Sento la pesantezza della sua maschera che per oltre mezzo secolo ha portato sul suo viso cadermi addosso, mentre mi dice di lottare ogni giorno contro la forte vergogna che le provoca quell’immagine che rimbomba rievocando le sue peggiori paure, la violazione della sua persona, della figura della donna e della propria intimità. Mi racconta che è un gesto ignorante, di uomini (perché il compito di tradizione spettava ad un uomo, con altrettanti spettatori di sesso maschile) che non sanno cosa voglia dire essere donne in Egitto negli anni ’60, qualche anno prima della “Guerra dei sei giorni” con la leva militare obbligatoria per i maschi. Percepisco la rabbia verso quel contesto maschilista che ha permesso tutto questo e che continua a permetterlo sotto l’indifferenza di tutti, anche davanti alla morte di una sua zia che, a cause delle scarse condizioni igieniche, ha perso la vita a seguito di un’infezione, una delle tante morti, e la morte un po’ di tutte. La conversazione è stata breve, molto intensa e confusa come se volesse condividere il suo dolore ma la maschera che porta è talmente sua che non le ha ancora dato la forza di poterlo raccontare ai suoi figli, ormai grandi.

Le MFG sono ancora un problema grandissimo a livello mondiale, poco discusso, quasi un tabù: “Le MGF sono un fenomeno vasto e complesso che include pratiche tradizionali che vanno dall’incisione all’asportazione, parziale o totale, dei genitali femminili esterni. Bambine, ragazze e donne che le subiscono devono fare i conti con rischi gravi e irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche. Si stima che in nel mondo il numero di donne che convivono con una mutilazione genitale siano circa 125 milioni. Dati gli attuali trend demografici, possiamo calcolare che ogni anno circa tre milioni di bambine sotto i 15 anni si aggiungano a queste statistiche. Gran parte delle ragazze e delle donne che subiscono queste pratiche si trovano in 29 Paesi africani, mentre una quota decisamente minore vive in paesi a predominanza islamica dell’Asia. In alcuni Stati del Corno d’Africa (Gibuti, Somalia, Eritrea) ma anche in Egitto e Guinea l’incidenza del fenomeno rimane altissima, toccando il 90% della popolazione femminile. In molti altri, invece, le mutilazioni riguardano una minoranza – fino ad arrivare a quote dell’1-4% in paesi come Ghana, Togo, Zambia, Uganda, Camerun e Niger. Si registrano casi di MGF anche in Europa, Australia,

Canada e negli Stati Uniti, soprattutto fra gli immigrati provenienti dall’Africa e dall’Asia sud-occidentale: si tratta di episodi che avvengono nella più totale illegalità, e che quindi sono difficili da censire statisticamente.” (fonte: https://www.unicef.it/doc/371/mutilazioni-genitali-femminili.htm). Ogni maschera ha un senso, un peso, un significato e non esistono solo maschere individuali, anche collettive, e la maschera della Donna non deve più essere sporca di sangue.

Munira

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Crea un sito web o un blog su WordPress.com

Su ↑

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: