Dubbi e informazioni errate sulla morte di Sana, un’analisi con Wajahat A. Kazmi – SLUM

La notizia del (presunto) femminicidio di Sana Cheema, giovane pakistana naturalizzata italiana, arriva la mattina del 20 aprile con un articolo cartaceo del Giornale Di Brescia che afferma, come poi altri notiziari e giornali online, che la giovane donna sarebbe stata sgozzata dal fratello e dal padre in Pakistan, terra d’origine in cui era tornata in vacanza, per essersi ribellata ad un matrimonio combinato e per essersi innamorata di un ragazzo italiano e cristiano. Le informazioni sono andate poi aumentando di numero, ma non pervengono dei dati certi e chiarificatori dal Pakistan. Grazie a varie testimonianze e alla collaborazione dei media pakistani, l’attivista Wajahat Abbas Kazmi e noi slummin* abbiamo potuto far luce su alcuni aspetti della vicenda, ma soprattutto speriamo col nostro intervento di portare a galla questioni mai risolte e dubbi importanti.

Di certo, sappiamo che Sana aveva 25 anni e lavorava per un’autoscuola bresciana e che, come la maggior parte dei pakistani della città (ricordiamo, rappresentano il “grosso” della comunità in Italia), proveniva dal distretto di Gujrat, nella provincia del Punjab, una zona recentemente metropolizzata ma che conserva intimamente una mentalità chiusa, potremmo dire “contadina”, e profondamente maschilista e patriarcale (così come in altre città e distretti vicini, come Jehlum, Mandibahawuldin, Lalamusa). In molti emigrano nelle nostre città sperando di lasciarvi i figli, affinché lavorino, e progettando di trascorrere la vecchiaia nelle città in cui sono nati. Wajahat allude a una forma di “business“. Purtroppo, pare che la tendenza a integrare la propria comunità in quella italiana sia, almeno nel caso di Brescia, piuttosto scarsa e che la barriere culturali siano davvero alte e difficili da superare, se non grazie al coraggio di molte donne che se ne distaccano. Ci sono molti casi di ragazze non mandate a scuola oppure in possesso soltanto della licenza di terza media, e ben pochi controlli statali al riguardo, e soprattutto la tendenza a maritarle ai cugini o altri conoscenti delle famiglie per trasferire e creare dei nuclei familiari direttamente sul territorio italiano.

Sulla sua morte si dicono cose contrastanti. Se i giornali riportano quel che abbiamo scritto all’inizio di questo articolo, la comunità pakistana di Brescia, come riferisce un anonimo al tg Telettutto, parla di “infarto” e di “suicidio“, benché molti giovani membri di essa siano assolutamente convinti che ci sia molto di più dietro la morte della ragazza. Gli ultimi post della giovane donna su Facebook sono di inizio marzo, e anche se il tg ha mostrato, senza alcun tipo di censura e, vogliate scusarci, senza alcun rispetto per la salma, le immagini di un funerale pakistano, durante il quale presumibilmente una madre o una parente piange piegata sul corpo di una donna, neanche gli ultimi articoli e tantomeno noi abbiamo la certezza del giorno del decesso o del rito funebre. Sono stata trasmesse le testimonianze di chi non la vede da Novembre, ma ci siamo accertati (grazie a fonti dirette e che vogliono restare anonime) del fatto che Sana fosse stata vista in Italia all’incirca un mese e mezzo fa e che abbia lavorato almeno fino a fine Febbraio. Probabilmente è stata uccisa – i giornalisti pakistani ci parlano già di omicidio – nel giro di queste ultime settimane; questi ci riferiscono, tra l’altro, di aver avuto notizia di un (ennesimo) omicidio nel distretto del Gujrat a cui non è mai stato dato risalto mediatico. Non abbiamo, invece, assolutamente avuto risposte certe sulla relazione con un ragazzo italiano che i giornali stanno divulgando, bensì abbiamo notizia di una lunga relazione con un connazionale finita da qualche tempo. Per l’idea che molti pakistani hanno del rapporto uomo-donna, un’amicizia potrebbe esser stata scambiata da qualcuno per una relazione, da quanto noi ne sappiamo potrebbe esser trapelata un’informazione completamente distorta. Ci chiediamo se sia stata uccisa recentemente e se i giornali pakistani non fossero al corrente di niente perché, magari, la sua morte è stata spacciata per una morte accidentale, come riporta il Corriere, fino ad ora. Vorremmo capire se è stata fatta o meno un’autopsia e come sono arrivate le informazioni diffuse in Italia ai giornali bresciani, e se la comunità del Gujrat abbia ormai maturato una pura connivenza nei confronti delle famiglie che vendicano il loro “onore” togliendo di mezzo le donne come fossero pedine su una scacchiera. In più, aspettando sviluppi, ci chiediamo se il padre di Sana Cheema, Mustafa, sia stato veramente arrestato in Pakistan e che ruolo abbia l’ambasciata italiana in Pakistan, visto che Sana Cheema aveva la cittadinanza italiana.
ANSA ha riferito il 22 aprile che la ragazza è morta per un malore e che i parenti non sono in prigione. Eppure, chi la conosce, ci dice che godesse ottima salute.*

Delitti d’onore

La morte di Sana ci deve ricordare l’efferato omicidio della ventenne Hina Saleem, accoltellata, sgozzata e seppellita dal padre e dai cognati nel 2006 nel bresciano, anche lei originaria del Gujrat e “colpevole” di essersi allontanata dai costumi della famiglia e di aver rifiutato un matrimonio combinato per preferire un ragazzo italiano. Per la Cassazione uccisa per «un patologico e distorto rapporto di possesso parentale». Quel che è più interessante oggi in relazione al caso di Sana, è nel linguaggio utilizzato per raccontare l’accaduto. La madre, Bushra, ha dichiarato pubblicamente 10 anni dopo di, nonostante il grande dolore per la perdita di Hina, aver perdonato Mohammed, il marito, per aver ucciso la figlia “in un momento di rabbia” – una rabbia motivata, a detta sua, dalle richieste di soldi della ragazza, dalle sue cattive compagnie e dal suo vivere smodatamente, ma non per motivi religiosi o per via della sua “occidentalizzazione”. Dichiarazioni fatte al Corriere molto curiose, perché paiono contrastanti dalle prime affermazioni dopo l’omicidio, in cui questa diceva che sua figlia non era stata “una buona pakistana”, senza contare quelle del padre, che disse che non sarebbe mai arrivato a tanto in una terra in cui le ragazze non si fanno tentare dalle discoteche, insomma, dai luoghi di perdizione italiani. Davanti ai giornalisti, la sorella Khizna, in almeno un’occasione, ha indossato la minigonna, calze e vestiti “occidentali”, quasi a rimarcare le ragioni dell’uomo che adesso sta scontando 30 anni di carcere. Eppure, nel 2003 Hina era anche fuggita di casa e aveva sporto denuncia per maltrattamenti ed abusi. Scattarono altre due denunce, ma prima del processo aveva ritrattato venendo così accusata di calunnia.

Vale la pena specificare, che non è un caso che Bushra abbia parlato di “perdono“. Anche il fratello di Qandeel Baloch, la “Kim Kardashian” pakistana tanto amata nella parte più giovane del paese, si appellò alla legge sul diritto d’onore dopo aver drogato e strangolato la sorella nel 2016, rea di aver reso noto il cognome della famiglia e di averlo infangato con la sua condotta. Nell’ottobre dello stesso anno tale legge che aveva permesso il rilascio dell’assassino nel caso fosse stato perdonato dalla famiglia, fu modificata in maniera da consentire al colpevole solo il carcere piuttosto che la pena di morte, se perdonato. Gli attivisti parlano di mille donne uccise ogni anno, tra cui 500 di queste sono donne ribelli. Qualcuno ricorderà forse anche Samia Shahid, un donna britannica originaria del Punjab che aveva divorziato dal primo marito, impostole con un matrimonio combinato, per sposare un altro uomo. Tornata ad Islamabad per incontrare i parenti, fu brutalmente uccisa dal padre e dall’ex marito, sempre nel 2016.

Sveva Basîrah e Wajahat Abbas Kazmi

*edit del 22 aprile

3 risposte a "Dubbi e informazioni errate sulla morte di Sana, un’analisi con Wajahat A. Kazmi – SLUM"

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    1. C’è bisogno dell’autopsia. Per truccare un certificato di morte in Pakistan bastano pochi spicci. Le commissioni per le autopsie vengono dalle grandi città solo se chiamate

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