Questa è una traduzione dell’articolo di una brillante anonima.
Per me quelle persone sono folli. Sono malate, è ovvio! Non sono normali”
Quando sentii queste parole da mia madre avevo 14 anni. Erano parole quiete – a casa si parlava raramente dell’omosessualità – ma il disgusto evidente nel suo tono di voce. Non ne ero sorpresa. Ovviamente non ero d’accordo, ma semplicemente ignorai le sue parole. Non pensavo che discutere con mia madre, religiosa, di un argomento su cui non saremmo mai state d’accordo ne valesse la pena.
In quei giorni, poi, ero ancora convinta di essere eterosessuale. Pensavo che la bizzarra attrazione che provavo verso una, o alcune, delle mie amiche potesse essere spiegate nell’essere più vicine che ad altri. O che semplicemente si trattasse di una forte amicizia. Pensavo che le mie fantasie sui ragazzi e sulle ragazze fossero normali e comuni e che questo non significasse nulla.
Così è stato, finché non ne parlai con una mia amica musulmana. Mi fissò scioccata, la sua voce si fece turbata e perplessa. “Questo significa essere gay, lo sai. Non penso a cose come queste”, mi disse.
Esiste una strana doppia morale che pervade l’essere musulmana e LGBT. È più della sola comunità musulmana nel suo complesso che a fatica riconosce la sua controparte LGBT. Va oltre questo – è come se la comunità musulmana avesse completamente fallito nel riconoscere la possibilità dei musulmani di non essere eterosessuali. Come se gay e musulmano fossero incompatibili e reciprocamente esclusivi.
Forse è questo il motivo per cui mi ci è voluto del tempo nel realizzare di essere bisessuale.
Ho accettato la mia sessualità a 16 anni, ma non è stato facile. Sebbene avessi realizzato presto che ero sempre stata attratta sia da uomini che da donne, accettare questa realtà è stato difficile.
Il più grande ostacolo era la mia fede islamica. Dopo la mia famiglia e i miei amici mi avevano avvertita di quanto fosse sbagliato tutto ciò che non concerne l’essere eterosessuale – se non addirittura disgustoso – ho cominciato a chiedermi se la mia fede fosse ancora valida; se tutto ciò fosse compatibile con chi ero io. Il discorso del Corano sull’omosessualità è abbastanza vago e messo in discussione da alcuni. Tipicamente, la storia di Lot è una delle più riprese per dimostrare la disapprovazione dell’Islam sull’omosessualità. Lot era un profeta di Dio, mandato nelle città di Sodoma e Gomorra per predicare il potere di Dio l’Altissimo e dissuadere gli abitanti dalle loro vie peccatrici.
“Invero, vi accostate con desiderio agli uomini piuttosto che alle donne. Sì siete un popolo di trasgressori”, cita il Corano (7:81). Faccia a faccia con la disobbedienza delle persone a cui stava predicando il potere di Dio l’Altissimo – così come la sua stessa moglie – la storia narra anche che Dio disse a Lot di andare via e le città sarebbero state distrutto il giorno seguente, “facendo piovere su di esse pietre d’argilla indurita” (11:82).
Per via della menzione diretta di un rapporto uomo-uomo, la storia di Lot è ampiamente interpretata come una disapprovazione diretta e chiara dell’omosessualità nell’Islam. Questa è l’interpretazione che i miei genitori sostengono, comunque. La storia di Lot è sempre presa di riferimento durante una discussione se si comincia a parlare di omosessualità, così da ricordare sempre la sua “impurità” e “immoralità”.
È come se la comunità musulmana non sia stata ancora in grado di riconoscere la possibilità che i musulmani possano non essere etero.
Alcuni studiosi hanno tuttavia sottolineato la mancanza dell’esplicita condanna di quel tipo di rapporti, legati alle pratiche di stupro nominate nella storia di Lot e che perciò potrebbero essere fuorvianti nell’interpretazione della natura di tali rapporti.
La natura ambigua di quel racconto rende difficile assumere una posizione interpretativa circa la vera ragione della punizione del popolo di Sodoma e di Gomorra. Erano i loro presunti rapporti omosessuali, o la loro incredulità nei confronti di Dio?
Personalmente, il racconto di Lot non mi convince abbastanza dell’esistenza di qualsivoglia peccato relativo all’omosessualità. Il mio punto di vista, da musulmana, potrebbe essere giudicato “liberale”, ma credo fermamente che la mia fede e le mie azioni valgano qualcosa di più di cose come la mia identità di genere o il mio orientamento sessuale. La mia bisessualità non altera la mia fede in Dio, né la mia volontà di aiutare gli altri, di predicare la pace, di essere una buona musulmana. Dopo tutto, il mio rapporto con Dio riguarda me e me soltanto, e nessun altro dovrebbe prendersi la briga di metterci bocca.
Naturalmente arrivare a queste conclusioni ha richiesto del tempo. A sedici anni non avevo nessuno con cui condividere i miei pensieri. Gli amici che non conoscevano molto dell’Islam semplicemente non riuscivano a capire o relazionarsi col mio punto di vista di musulmana. Nel frattempo, non avevo nessuno all’interno della mia comunità musulmana disposto a discutere le proprie idee sulle questioni LGBT, figuriamoci ad accettarmi come bisessuale. Ci ho pensato per conto mio, alla fine, ma sento ancora la necessità di parlarne.
Non sarò mai in grado dichiararmi per bene alla mia famiglia a causa delle loro opinioni. Non potrei mai poter parlare di queste cose con il mio vero nome. Ma posso fare del mio meglio per illuminare una realtà che credo sia spesso trascurata: la realtà della gioventù musulmana LGBT, paralizzata in un precario equilibrio tra fede e identità. Condividendo la mia storia, spero che cominceremo a considerare seriamente la necessità di riconoscere quelle persone; per dare loro una voce, per accoglierle e per ascoltarle.
Zeinab
ammiro questa ragazza ma religione e diritti umani non sono conciliabili secondo me
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