Posso affermare che la mia storia d’attivismo si è sviluppata grazie a delle orrende esperienze con un narcisista patologico, il principale motivo per cui oggi offro il mio aiuto a vittime di violenza e survivors. Che i maschilisti e i narcisisti esistano, si sa, è un continuo fatto di cronaca, ma basta guardarsi intorno, ogni città è piena di oppressori. Quel che trovo deleterio all’ennesima potenza è trovarmi a lavorare e camminare fianco a fianco con persone del genere in associazioni, progetti, gruppi virtuali, cortei e ambienti d’attivismo femministi, queer, antifascisti. Mi è capitato, e non sono la sola che ha subìto gli effetti di certe cattive presenze.
Partiamo dal dire che in verità alcuni ambienti d’attivismo non si sviluppano correttamente sull’aspetto teorico e/o nella pratica. In Italia ci sono moltissimi ambienti antifascisti colmi di mille fascismi dentro di loro. Ricordate la ragazza 18enne violentata dai “compagni antifascisti” parmigiani nel 2010? Questo è solo uno degli eventi più lampanti e soprattutto è uno dei pochi conosciuti. La misoginia è a tutti gli effetti una forma di fascismo, come lo è il razzismo, difettucci che hanno sempre caratterizzato la cosiddetta sinistra italiana. Esistono movimenti antifascisti che durante i cortei lasciano indietro e insultano ad alta voce le compagne femministe che marciano con i simboli di Non Una Di Meno, centri antiviolenza e via dicendo. E’ una storia che, girando l’Italia, ho sentito ripetere troppe volte a voce dalle attiviste. Esistono spazi che faticano ad escludere i molestatori definitivamente e che implodono con l’accumularsi delle dinamiche di potere, spazi antisessisti ma in cui “gli uomini pisciano pur sempre in piedi”, CAV fatti di donne machiste (per fortuna, pochi). I movimenti stagnanti sono, per forza di cose, un po’ fascisti dentro; si vede, spesso, da come sono scarni di diversità, riluttanti, più o meno esplicitamente, o addirittura “magnanimi e compassionevoli”, nei confronti del “diverso” (che si tratti di diverso in termini di scelte spirituali o relazionali, di origini, di orientamenti sessuali o identità di genere fuori dagli schemi eterocisnormati) e della sua presenza e inclusione.
Andiamo ancora più in profondità. Cosa succede se il leader di un progetto è un maschilista mascherato o un narcisista che si nasconde dietro pile di letture femministe? “E’ un po’ stronzo, ma parla tanto bene”/”ma fa anche tante cose buone” è la formula più gettonata da chi gravita intorno a queste persone, più o meno consapevoli della tossicità che, così dicendo, giustifica e accoglie. E’ una sorta di “dai ma in fondo è un bravo ragazzo”, ed è qualche anno che mi chiedo com’è che alle femministe viene in mente di riusare le retorica del nice guy senza rimorsi. Per rispondere a questa domanda, voglio raccontarvi un paio di cose.
Internet sembra qualcosa di “poco concreto”, ma è proprio grazie all’enorme visibilità che concede che è a tutti gli effetti una realtà con, certo, le sue dinamiche, e non uno svago. Quando pagine MRA o Terf/Swerf come Antisessismo o la pagina di Arcilesbica prendono piede è tutto un ghermire di poveri neuroni innocenti, ma è qualcosa che i movimenti femministi si aspettano; se a gestire numerosissimi gruppi facebook “femministi” sono le persone sbagliate, è strage di sinapsi. C’è un personaggio in rete, di cui ovviamente non dirò il nome, che fino a un po’ di tempo fa gestiva un gran gruppo in cui spadroneggiava e che, soprattutto, usava per cercare di adescare le ragazze, lanciandosi in arditi corteggiamenti ogni volta che poteva nelle chat private. Per questo io ed alcun* compagn* ci siamo riorganizzat* facendo nascere altre community online che fossero davvero dei safe space, in cui le ragazze e le donne potessero stare tranquille, gruppi più o meno aperti all’abolizionismo e al sexworking, che erano degli argomenti centrali nel primo gruppo, in cui gli/le/* admin si impegnano a non creare dinamiche di potere e a non alimentare flame (come invece faceva il da noi rinominato “Provolino“, il suddetto fine molestatore). Non credo che ci sia bisogno di spiegarlo, ma repetita iuvant: interagire e includere delle persone negative e all’estremo opposto del movimento, per quanta pubblicità facciano al femminismo, per quanto le loro idee teoriche siano concettualmente perfette, per quante idee abbiano, non vale la pena. Se è vero che per ogni donna offesa siamo tutt* parte lesa, è ancor più vero che urge fare delle scelte per creare l’ambiente meno escludente e tendenzioso possibile. Non è vero che la soluzione è quella di inglobare più persone possibile, perché di certe persone non siamo costrette ad essere le terapiste. Il nostro non è un movimento di candide crocerossine, ma di donne in lotta permanente (e non solo donne, ovviamente) e certe presenze non ce le possiamo accollare proprio noi.

Internet è anche un ottimo mezzo per esercitare bullismo e diffamare. E’ quello che è capitato a me, dopo la discussione con un attivista di una certa associazione. Uno che ha cominciato a parlare del velo dicendo che fosse stato per lui non ci sarebbe stata la clemenza riservata a Nadia Bouzekri (a cui fu impedito di togliere il velo negli spazi appositi in aeroporto e insultata dal personale l’anno scorso), ma in un paese ideale le avrebbero strappato quell’inutile e orrendo velo islamico. Proprio lui, che fino al giorno prima faceva interventi durante le sue manifestazioni femministe. E’ scattato un bullismo online che ha perdurato per settimane, e che ha coinvolto un’altra blogger femminista – una persona che fino al giorno prima mi aveva sottilmente giudicata per le mie condotte sessuali e che dichiarava che gli uomini che non offrono sono dei cafoni, ma che non merita un’altra parola di più. Una shitstorm su profili, pagine facebook e bacheche twitter da parte di entrambi, e recentemente un’altra trafila. Sono diventata la “femminista plagiata dal maschilismo” e alcun* attivist* mi hanno scritto in privato per farmi sapere che sono stata diffamata e dichiarata paranoide. C’è stato solo un breve periodo di riavvicinamento da parte dell’attivista, che ho aiutato facendo un lavoro di informazione che non mi ha fruttato alcun tipo di riconoscimento, si è preso il merito soltanto lui sulle testate dei giornali nazionali. Sono stata io a uscire dall’associazione che rammentavo perché non tolleravo più questa persecuzione, ma questa persona è rimasta dentro, nonostante le sue malefatte fossero conosciute e riconosciute dalla maggior parte degli altri membri – perché io non sono stata la sola parte lesa, altr* attivist* hanno dovuto lottare con la sua inaffidabilità e certi suoi exploit. Eppure, lui è sempre lì, ed è una mela marcia che crea danno intorno a sé ma che ha tanto successo sui social e la fama di un gran femminista coraggioso. La mia critica si rivolge ancora una volta a chiunque accetti che alcuni personaggi tossici abbiano completamente campo libero e posto in associazioni che si prefiggono di fare informazione, volontariato e cultura femminista con il massimo dello sforzo, a prescindere dalla visibilità mediatica e dalla creatività di tali individui. Nessuno, nessuno, nessuno è indispensabile, e bisogna rispettare una linea per decostruire tutto il maschilismo interiorizzato e costruire quel che ci piacerebbe vedere nel mondo con delle basi solide e chiare. Davvero ci interessa quel che ha da dire una persona nociva?

Usciamo dunque da Internet. Mi sono capitate situazioni veramente spiacevoli e imbarazzanti, ho visto narcisi ergersi a paladini del femminismo in maniera veramente stomachevole. Ho visto e mi è stato raccontato come certi narcisi sfruttino le proprie relazioni a proprio vantaggio e come sfruttino i progetti di cui si definiscono, anche sottilmente, leader per danneggiare il/la/* partner. Perché, come ha scritto una compagna, “c’è chi coltiva vizi privati e pubbliche virtù”. Il grosso problema è che queste persone agiscono indisturbate finché non c’è una presa di consapevolezza collettiva, ancora troppo rara nei collettivi e nelle collettive italiane. Che decostruzione attua una persona che si definisce femminista, che si permette di essere portavoce di organizzazioni femministe e del femminismo, se ripropone dei continui abusi e delle dinamiche di potere? Che senso ha parlare di dinamiche di potere e poi riapplicarle? E che decostruzione fanno le compagne che gravitano attorno agli stessi progetti e tollerano di buon grado certe presenze tossiche? C’è veramente tanto dolore intorno a queste persone, e non dovrebbe specialmente nei luoghi meno adatti alla loro presenza. Le persone nocive vanno semplicemente allontanate, ma chissà, forse è proprio la nostra concezione del “nocivo” a traballare davanti a una buona parlantina o a uno sguardo da bonaccion*. Forse non ricordiamo che l’abuso è una scelta o forse diamo priorità a dei risultati “fasulli” e non all’autenticità e alla qualità degli sforzi e delle connessioni interpersonali che ci sono dietro. I safe space sono altro e devono tornare ad essere tra le nostre prime ambizioni, o la lotta non sarà.
Sveva Basirah

Un contributo interessante e che apre prospettive e riflessioni che condivido. Grazie
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Mi fa piacere! Grazie a te
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