Questo articolo è stato scritto l’1 dicembre 2015 e pubblicato sul nostro vecchio sito, oggi lo ripostiamo leggermente modificato per commemorare la memoria di Tahir Elçi a tre anni dalla sua morte e per dimostrare il nostro rinnovato interesse per la causa curda e l’autodeterminazione del Kurdistan.
Caro Tahir Elçi, la storia s’è ripetuta e tu, che eri scomodo, sei stato eliminato. E sappiamo di chi sono le mani macchiate di sangue, perché nel tuo bellissimo paese c’è una dittatura mascherata da democrazia capace di far fuori gli avversari politici. Come è già successo, fratello Tahir, quel che eri, le tue idee, la tua giustizia cammineranno con le nostre gambe.
Tahir Elçi era un leader degli avvocati curdi e un attivista, è morto il 29 novembre 2015 nella città di Diyarbakır, freddato durante una sparatoria che ha ferito dei giornalisti e ucciso due poliziotti. Aveva appena parlato durante un incontro pubblico nel quartiere di Sur della gravità dei danni inflitti ad alcuni luoghi simbolici della città a causa degli scontri tra i manifestanti filo-curdi e la polizia. Elci era mal visto dal regime di Erdoğan, sembrò subito chiaro che questa sparatoria sia legata al conflitto politico, eppure dalle prime dichiarazioni per il primo ministro Ahmet Davutoğlu poteva non esserlo: per lui poteva non essere stato un omicidio premeditato. Così, è passato e, casualmente, è scattato qualche grilletto. Ma “le autorità stanno indagando.”, disse, e dopo tre anni non abbiamo ancora alcun colpevole.
Elçi non stava zitto, non aveva paura. Si è “permesso” di contraddire quel che la Turchia afferma, quel che il presidente afferma, per un tornaconto politico, a proposito del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, ovvero che sia un’organizzazione terroristica: chiariva, infatti, che il partito si batte per una maggiore autonomia dei curdi in Turchia, pur denunciandone

Tayyip Erdoğan e i suoi discepoli fanno molta leva sul PKK terrorista, rifiutandosi di articolare una discussione su questo movimento e soprattutto confondendolo con YPG di proposito; è un argomento perfetto per tacere riguardo gli interventi militari ancora esistenti ai danni delle milizie curde in Siria. Efficiente strategia, e non è l’unica per conquistare e terrorizzare l’elettorato. Per esempio, pensiamo a quando il genocidio armeno che nel 2015 ha compiuto cent’anni: è stato chiesto alla Turchia di riconoscerlo, di inserirlo finalmente nei libri di storia. Cos’ha risposto l’ancora eletto presidente?

Che l’Europa sta accusando la Turchia con delle menzogne per infangarla. Il suo negazionismo ha fatto
infoiare un sacco di gente terrorizzata dal “nemico Europa”, che si è unita agli sproloqui del suo presidente contro il “demonio”. Ha puntato il dito verso l’Europa ed è stato creduto. Il sultano ha molti vizi: della morte di Elçi ha affermato che questo non fosse vittima, ma il primo carnefice: “questo incidente mostra quanto sia nel giusto la Turchia nella sua lotta determinata contro il terrorismo”. La manipolazione è un’arma potente in mano ai politici, non c’è modo più lampante di dimostrarlo.
Selahattin Demirtaş, del partito filo-curdo Hdp, ha parlato di omicidio pianificato ed ha invitato tutti a scendere in piazza e protestare. Ed infatti, Izmir, Ankara, Diyarbakır (dove anche lo stesso Demirtaş poco tempo fa ha rischiato la pelle per un proiettile che ha colpito la sua auto) e a Istanbul, dove duemila persone si sono mosse con lo slogan “siamo tutti Tahir Elçi” e sono state poi brutalmente fermate dalla polizia, che ha disperso il corteo con lacrimogeni e getti d’acqua (esattamente come qualche mese prima, quando si svolse il Pride nella capitale e la gente fu sparpagliata dai violenti getti degli idranti). I funerali dell’avvocato, celebrati nella stessa città, dove si sono svolti quelli dei due poliziotti rimasti uccisi nello scontro, erano colorati dei colori vivaci della bandiera curda e decisamente affollati. Il fratello Ahmet si è detto sicuro che l’attivista sia stato vittima del regime, “non è il primo e non sarà l’ultimo intellettuale ad essere assassinato” e la moglie si è espressa così: “quando mio marito è stato colpito alla nuca, dalla sua bocca è uscito un rametto d’ulivo.”.
Non ti dimenticheremo.
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Qui un articolo di retekurdistan da leggere assolutamente sulle ultime novità.
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Appunto sul “sultano”: Spero che sia ben chiaro che quell’uomo era nel mirino, spero sia chiaro che nel mirino del tiranno ci sono tutti i suoi avversari. E’ “l’uomo forte”, quello che alle conferenze si alza lamentando indignazione dopo aver urlato, il misogino e maschilista, l’omofobo, il razzista, il promotore d’odio. Quante volte ha bloccato l’accesso a siti Internet come Youtube, Facebook o Twitter in vista, magari, delle elezioni o in periodi in cui lo si “è preso troppo in giro”? Innumerevoli. Che dire dei morti innocenti causati dai bombardamenti contro i curdi, invece che contro l’Isis, anche in tempi recenti in Siria?
Ci sono foto del figlio di questo essere coi miliziani dell’Isis su Internet e non ho alcuna difficoltà a credere alla veridicità delle immagini (sapevate, ad esempio, che sono stati visti e filmati scambi di saluti cordiali tra soldati turchi e miliziani dell’isis?). Provato è che il petrolio dei territori controllati dai terroristi passi il confine turco, sospettatissimo è che Bilal Erdoğan ne gestisca il flusso e il commercio (da cui l’isis ricaverebbe 2milioni di dollari al giorno) tramite l’azienda turca che compra l’oro nero e l’azienda che lo importa illegalmente con più di 500 camion colmi di botti. Anche la sorella Sumeyye sarebbe coinvolta, fonti la videro a capo dell’organizzazione di un’ospedale adibito per i miliziani. Intanto il capofamiglia fa qualche suo discorso col Corano in mano. La famiglia Erdoğan ha le mani macchiate di sangue.
Una Sveva Basirah del 2015.
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