L’eredità delle donne secondo il Corano e l’Islam – SLUM

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di Cyrille Al Ajami

 

Tra tutte le ingiustizie fatte alle donne in nome dell’Islam, l’eredità è senza dubbio un caso emblematico perché dimostrerebbe aritmeticamente che Dio attribuisce alla donna soltanto la metà del valore dell’uomo. Questo uomo, misogino e sessista, che aveva già detto (tra altri esempi) che la testimonianza di una donna valeva la metà di una testimonianza accettabile e che ha voluto ribadire l’inferiorità del genere femminile fin dentro il territorio della morte (e della trasmissione di beni che ne consegue segue). Dio sarebbe quindi all’immagine dell’uomo: machista, sessista, misogino. Eppure non è possibile ammettere tali ingiustizie e ineguaglianze quando il Corano afferma l’uguaglianza tra uomo e donna e stabilisce la giustizia e l’equità quali valori trascendenti le relazioni umane: “Credenti, siate fermi nella giustizia e testimoniate in Dio, fosse anche contro voi stessi, contro padre, madre, vostri parenti. Si tratti di un ricco o un povero, Allah ha la precedenza su di loro. Non seguite le passioni, per non deviare. Se distorcete, se rifiutate[1], Dio conosce perfettamente ciò che fate.” (Sura 4, v. 135)[2].

  • Cosa dice l’Islam

È senza ambiguità che si è stabilito all’interno dell’Islam un consenso maschile intorno alle norme dell’eredità, inuguaglianza basata sul seguente principio: “al maschio, la parte uguale di quella di due femmine” (Sura 4, v. 11). Questo è accettato da tutti, dagli uomini ovviamente, ma anche dalle donne che hanno interiorizzato nelle pieghe ferite del loro essere questa inferiorità statutaria, che pare chiara manifestazione della volontà divina. Crudele paradosso, è proprio a partire dei versetti 11-14 e 176 della Sura denominata Le donne/an-Nisa che il diritto islamico giustifica questa ripartizione ineguale dell’eredità, sancendo di fatto l’inferiorità della donna e la sua dipendenza dall’uomo. Di fronte alla modernità e alle rivendicazioni delle donne, alcuni uomini hanno cercato di dichiararsi non colpevoli mettendo avanti la motivazione che, in certi casi, il calcolo delle parti spettanti alle donne secondo questi versetti andrebbe anche a vantaggio delle stesse. Certo, ma questi casi non sono che un rado cespuglio che nasconde a malapena l’oscura foresta del dominio maschile sulle donne.

Altri pensatori illuminati hanno affermato che i suddetti versetti avevano senso soltanto nel contesto dell’antichità in cui le donne non avevano nessuna autonomia finanziaria, non partecipavano all’economia della società e quindi della coppia, ed era quindi coerente che non potessero beneficiare della maggior parte dei beni ereditabili. Inoltre, non mancano buone intenzioni nel far osservare che il Corano prevedeva comunque un diritto all’eredità per le donne, quando nelle società e nelle altre religioni monoteiste dell’epoca queste erano del tutto escluse dalle successioni. Queste cose sono senza dubbio vere, ma è certo che interpretazioni e re-interpretazioni non hanno abbastanza spessore per cancellare la forza operativa di questi versetti così come sono stati interpretati dall’Islam storico. Coscienti di questi limiti e di queste debolezze, alcuni hanno cercato di rivisitare questi versetti giocando sui termini e sui numeri, definendo tassi di ripartizioni tali che sia possibile ammettere la piena uguaglianza tra uomini e donne. Ciò nonostante, nessuno dei metodi di (ri)lettura ha prodotto un sistema coerente, e questi testi riposano dunque sulla loro impotenza di fronte al principio generale, conosciuto da tutti: “al maschio, la parte uguale a quella di due donne” (Sura 4, v. 11).

Tuttavia, senza doverci discostare dal diritto successorio islamico (‘ilm al-farâ’id) elaborato sulla base di questi versetti e senza rimettere in discussione né la validità né l’atemporalità degli stessi, due fatti devono attirare la nostra attenzione:

  1. Le disposizioni coraniche non trattano la situazione di tutti i possibili eredi prossimi[3]
  2. In alcuni casi ben conosciuti dagli specialisti, il numero di parti da distribuire applicando la disposizione islamica supera aritmeticamente il patrimonio disponibile[4]

È quindi problematico ammettere che Dio (o il Profeta) abbia potuto legiferare ad vitam aeternam un sistema successorio incapace di risolvere senza errore l’insieme delle successioni, poiché vorrebbe significare che il Signore della Rivelazione è un contabile piuttosto scarso o che le sue disposizioni sono impossibili da mettere in pratica senza essere maneggiate o modificate. Ora, nessun credente potrebbe accettare delle ipotesi del genere. È quindi razionale provare ad analizzare i processi con cui l’esegesi e il diritto islamico hanno flesso questi versetti.

  • Cosa dice il Corano

I versetti che vogliamo trattare (Sura 4 v. 11-14) sono ben noti ma, contrariamente alla nostra abitudine, non li citeremo in testa di presentazione, ma nell’ordine del percorso di analisi che intendiamo seguire. Quest’ultimo si basa sul fatto che la soluzione al problema (inuguaglianza tra uomo e donna, incompletezza e imperfezione della legge islamica in materia di successioni) riposa principalmente su quattro processi che sono stati effettuati dall’Islam giuridico:

  1. Inversione di priorità tra lascito testamentario ed eredità per quote
  2. Inversione di senso tra prescrizione e raccomandazione
  3. Generalizzazione di un caso particolare
  4. Cancellazione di misure coraniche

 

1. Inversione di priorità tra lascito testamentario (al-waṣyya) ed eredità per quote (al-warth)

 

Contrariamente a quanto si possa pensare, il Corano non ha indicato una sola modalità di trasmissione dei beni post-mortem, ma due: i lasciti testamentari (al waṣyya) e l’eredità per quote (al-warth). Come constateremo, di queste due misure i lasciti testamentari sono la principale ed il warth è uno strumento secondario, ma l’Islam storico ha rovesciato questo ordine di priorità.

 

I lasciti testamentari (al -waṣyya)

Il versetto che si riferisce a questo argomento è il seguente: “Quando la morte si avvicina a uno di voi, se lascia un bene vi è prescritto il testamento in favore del padre, della madre e dei parenti, secondo l’uso. È un dovere per i devoti.” (Sura 2, v. 180)[5]. Se si tiene conto della cronologia tradizionale, questo versetto è il primo ad essere stato rivelato sul tema della trasmissione dei beni post-mortem. Vedremo nel paragrafo seguente che l’intratestualità conferma questo fatto.

_ In primo luogo, si tratta in questo caso di una prescrizione: “vi è prescritto” (kutiba ‘alaykum). Ci torneremo sopra, il carattere prescrittivo del Corano non corrisponde ad un vincolo legale, ma ad una forte incitazione. È nonostante tutto lasciato agli uomini la libertà di disporre dei propri beni, posizione logica e coerente di Colui che ha creato l’Uomo libero. Di contro, questa libertà non conviene sempre ai legislatori e constateremo più avanti come i giuristi musulmani abbiano lavorato per restringerla, o addirittura annullarla

_ In secondo luogo, la radice del termine waṣyya (waṣa) suggerisce l’idea di riunire una cosa con altre, da cui la IV forma awsa: legare le generazioni insieme attraverso la trasmissione di un bene, azione denominata waṣyya. Questo nome verbale ha quindi preso il significato di ciò che è raccomandato per testamento, così come il termine mûṣin (Sura 2, v. 182) si riferisce al testatore. Da qui la traduzione di waṣyya come “lascito testamentario”, altrimenti detto redazione di un testamento come scritto per esempio nella Sura 5, v. 106-108.

_ In terzo luogo, il Corano indica che i beneficiari di questi “lasciti testamentari” sono i genitori (al–wâlidayn), ma anche “i più prossimi” (al–aqrabîn)[6]. Se la priorità è data ai due genitori, la menzione dei “più prossimi” permette una grande libertà nella designazione dei beneficiari. L’obiettivo è chiaro e perfettamente in sintonia con l’idea centrale del Corano: la carità, l’elemosina, la bontà; qui i “lasciti” hanno la funzione di ridistribuire la ricchezza tra gli uomini, beni materiali compresi, in quanto doni derivanti da Dio e destinati a tutta l’umanità. Qui ancora verificheremo come il diritto musulmano abbia cercato di accaparrare, in nome del potere e a suo servizio, i beni dei musulmani.

_ In quarto luogo, la prescrizione dei lasciti testamentari non prevede assolutamente una ripartizione predeterminata dei beni secondo delle categorie di eredi. Allo stesso modo, abbiamo osservato che questa raccomandazione coranica non menziona nessuna distinzione tra uomo e donna. Questa uguaglianza giuridica, qui implicita, è affermata anche dal versetto che riportiamo: “Agli uomini una parte di quello che hanno lasciato i padri, le madri o i parenti; e alle donne una parte di quello che hanno lasciato i padri, le madri o i parenti. Sia poco o tanto, una parte determinata.” (Sura 4, v.7)[7] Notiamo che la locuzione “parte determinata” (naṣîba mafrûḍa) non è collegata alla ripartizione a quote/al warth che viene descritta nel paragrafo successivo, ma indica semplicemente che al momento della redazione di un testamento deve essere chiaramente precisata la parte che spetta ad ognuno dei legatari. La libertà del testatore è quindi totale, ma il Corano raccomanda che è bene essere il più generosi possibile nella divisione dei beni:E quando dei parenti, degli orfani, dei poveri assistono alla divisione, datene loro una parte e parlate loro con parola conveniente” (Sura 4, v. 8)[8]. Questa nozione supplementare di dono (‘atyya)[9] mira a che la divisione dei beni superi il quadro familiare e si estenda ai più svantaggiati. Conformemente allo spirito coranico, questo superamento dei confini familiari promuove di fatto una vera solidarietà tra i membri della società.

In conclusione, i lasciti testamentari al waṣyya sono lo strumento prescritto per primo dal Corano in tema di successione; dovrebbe riguardare la totalità dei beni la cui ripartizione e libera e non stabilisce nessuna ineguaglianza tra l’uomo e la donna.

Sull’eredità del reliquato a quote-parti/ al warth

I versetti che riguardano invece l’eredità per quote/al-warth sono i seguenti:

11. Quanto ai vostri figli, Dio vi raccomanda di lasciare al maschio la parte di due femmine; se sono solo femmine e più di due, spettano loro i due terzi dell’eredità, mentre se è una femmina sola le spetta la metà. I genitori del defunto avranno ciascuno un sesto dell’eredità qualora il defunto abbia un figlio; se invece non ha figli e i genitori ereditano i suoi beni, alla madre spetta un terzo. Se costui ha dei fratelli la madre avrà invece un sesto dopo che siano stati pagati eventuali lasciti o debiti, perché voi non sapere chi vi gioverà di più, se i vostri genitori o i vostri figli; è una prescrizione divina, Dio è sapiente e saggio. A voi spetta la metà di quello che lasciano le vostre mogli, se esse non hanno figli, mentre se ne hanno a voi spetta un quarto di quello che lasciano dopo che siano stati pagati eventuali lasciti o debiti; a loro volta a esse spetterà un quarto di quello che lascerete alla vostra morte se non avete figli; se invece ne avete, a esse spetterà un ottavo dopo che siano stati pagati eventuali lasciti e debiti.; se un uomo – o una donna – eredita da un defunto senza ascendenti né discendenti diretti, ma ha un fratello o una sorella, a ciascuno di loro toccherà un sesto se invece questi fratelli sono in numero maggiore, parteciperanno ad un terzo dell’eredità dopo che siano stati pagati eventuali lasciti o debiti, affinché non arrechino danni ad altri; è un precetto di Dio, Dio è sapiente e indulgente. Ecco i termini di Dio, e chi ubbidisce a Dio e al Suo Messaggero, Dio lo farà entrare nei Giardini alla cui ombra scorrono i fiumi, dove rimarrà eternamente. Ecco il supremo successo. Quanto a chi si ribella a Dio e al suo Messaggero e oltrepassa i Suoi termini, Dio lo farà entrare nel fuoco dove resterà eternamente e avrà un castigo che lo” (Sura 4, vv. 11- 14)[10].

La nostra traduzione letterale differisce in qualche punto dalle comprensioni-interpretazioni classiche, lo spiegheremo nel corso della nostra analisi; differisce più nettamente nel segmento “se un uomo – o una donna – eredita da un defunto senza ascendenti né discendenti diretti, ma ha un fratello o una sorella, a ciascuno di loro toccherà un sesto”, perché questo non avrebbe avuto senso nella comprensione classica. Spiegheremo questo punto quando tratteremo la Sura 4, v. 176.

Portiamo la nostra attenzione sul segmento dopo che siano stati pagati eventuali lasciti o debiti. Lo stesso concetto è ribadito quattro volte nei versetti 11-14, cosa che prova la sua importanza. È così ricordato al credente che l’oggetto di tali versetti è di ripartire i beni del defunto dopo esecuzione dei lasciti testamentari (al-waṣyya) che sono stati prescritti anteriormente quali strumento di trasmissione dei beni post-mortem (Sura 2, v.180). Da questo risulta che l’eredità per quote (al-warth) in questione è una disposizione che deve avvenire solo ad avvenuta esecuzione-pagamento dei lasciti testamentari, che sono a loro volta associati ai debiti che dovranno essere rimborsati prima della successione/al-warth. Il warth risulta quindi essere una misura complementare concernente il reliquato dei beni se esso esiste, caso che non dovrebbe sussistere laddove il testamento sia stato perfettamente redatto.

In questo caso, questi versetti descrivono un sistema di distribuzione per quote del reliquato. Sottolineiamolo nuovamente, la modalità di successione per quote preconizzata dal Corano è una disposizione secondaria che può essere messa in atto solamente dopo l’esecuzione/devoluzione del lascito testamentario-waṣyya, che è la modalità successoria privilegiata dal Corano.

Abbiamo constatato che l’Islam storico ha proceduto a un’inversione delle priorità tra lasciti testamentari-waṣyya ed eredità per quote-warth canonizzando quest’ultima quale modalità obbligatoria e principale di trasmissione dei beni post-mortem. Questa inversione è in sé sottile e, se è inscritta nel patrimonio giuridico dell’Islam, allo stesso modo sembra iscritta di fatto nel nostro patrimonio genetico, al punto che per i musulmani esiste una sola modalità di trasmissione dei beni post-mortem, che non è quella privilegiata dal Corano.

Riassumendo, il Corano prescrive il lascito testamentario- wasjyya come modalità privilegiata di successione mentre l’Islam storico impone al suo posto l’eredità- warth o ‘irth. Infine, la quadrupla ripetizione del segmento “dopo che siano stati pagati eventuali lasciti o debiti” indica chiaramente che i principi del lascito testamentario – waṣyya erano anteriori alla disposizione complementare dell’eredità per quote/al-warth. Di rinforzo, è in questo modo confermato l’ordine cronologico tradizionalmente ammesso, essendo la Sura 2 stata rivelata antecedentemente alla Sura 4.

2. Inversione di senso tra prescrizione/kataba e raccomandazione/awṣâ

 

Al fine di rovesciare questo ordine di priorità, gli esegeti-giuristi classici sono stati indotti a modificare la nostra percezione dei propositi coranici. In effetti, quando il Corano introduce il tema dei lasciti testamentari/waṣyya utilizza il verbo kataba (prescrivere) mentre quando preconizza l’eredità per quote-parti/warth ricorre al verbo awṣâ (raccomandare).  

– Riguardo al versetto 180 della Sura 2, è scritto: “Quando la morte si avvicina a uno di voi, se lascia dei beni, gli è prescritto il testamento in favore del padre, della madre e dei parenti”. Etimologicamente e linguisticamente, la prescrizione[11] non è un’obbligazione in senso stretto. A livello lessicale, la parola kîtab deriva dalla radice kataba che significa “scrivere”; da qui il significato di kîtab di “libro”, “scritto”, “missiva”. È in questo senso che il verbo kataba viene a significare per estensione “prescrivere”, vale a dire mettere per iscritto, e che kîtab assume il significato di prescrizione: ciò che è stato scritto. Per definizione, tutte le precrizioni/kîtab non hanno un carattere obbligatorio, quanto piuttosto il valore di una raccomandazione messa per iscritto. Vale lo stesso per la lingua francese in cui, per esempio, la “prescrizione medica” è un atto scritto non vincolante, di fatto una raccomandazione nell’interesse del paziente. È stato quindi solamente sotto l’influenza dell’esegesi giuridica propria dell’Islam che al termine kîtab è stato attribuito un valore di obbligazione, di Legge divina. Notiamo che in questo versetto la prescrizione: “vi è presctitto”/kutiba ‘alaykum è doppiamente ripetuta perché il versetto si conclude con “è un dovere/ ḥaqq per i devoti”. Questo sottolinea ed esplica il fatto che, da una parte, questa prescrizione non è coercitiva (non è altro infatti che un ḥaqq per i devoti) e che, d’altra parte, fa appello alla coscienza dei credenti e alla loro pietà (questo è un dovere per i devoti). Per un musulmano sincero, questo versetto ha un significato che incombe moralmente sul suo cuore; e questo è conforme allo spirito coranico. È così che nel Corano l’utilizzo del termine kataba si riferisce a una forte incitazione morale che tuttavia non ha carattere coercitivo o vincolante legalmente. Questo rinforza la costatazione che il Corano non è un’opera di diritto in senso stretto, quanto un’opera riguardante doveri. Possiamo notare che la prescrizione dei lasciti testamentari/waṣyya si serve del verbo kataba come marcatore d’intensità, assumendo il rango di fortissima raccomandazione.

– Riguardo invece ai versetti 11-14 della Sura 4, la menzione in capo alla Sura: «Quanto ai vostri figli, Dio vi raccomanda» è esplicita. Il verbo utilizzato è la IV forma di awṣâ che, a partire dalla radice waṣâ (riunire, raggiungere), significa raccomandare, da cui la forma yûṣî-kum: “[Egli] vi raccomanda”. È dalla stessa radice waṣâ che deriva il termine waṣyya – lasciti testamentari – dal momento che tale pratica permette di riunire gli eredi attraverso la trasmissione dei beni del defunto. In questo modo, nonostante alcune traduzioni abbiano qui optato per la forma: “Dio vi ordina”, è da notare che la traduzione standard abbia riportato la frase in questo modo: “Ecco ciò che Allah vi ha ingiunto”, essendo apparentemente il verbo “ingiungere” etimologicamente più fedele che il verbo “ordinare”. Ciò nonostante, si tratta comunque di un abuso linguistico, perché in francese il verbo “ingiungere” significa principalmente “ordinare formalmente”, cosa che non può corrispondere al significato arabo di awṣâ/raccomandare[12]. Raccomandare” non è “ordinare” e quando anche nei dizionari si calpesta la sfumatura di significato delle parole affermando che awṣâ vale anche per “ordinare”, risulta evidente che si tratta di un’influenza di un’esegesi soggettivamente orientata sul lessico arabo.

Notiamo ancora che la conclusione del versetto 12 rivela la filosofia sottostante a queste misure coraniche: “affinché non arrechino danni ad altri; è un precetto di Dio, Dio è sapiente e indulgente, parole che non permetterebbero di far valere come principio generale delle regole di successione l’inuguaglianza tra uomini e donne. Questo spiega come in generale, il segmento “affiché non arrechino danni ad altri”[13] sia collegato nelle traduzioni alla frase precedente, come per esempio nella traduzione standard: «après exécution du testament ou paiement d’une dette, sans préjudice à quiconque »[14]. Ora, questo non è completamente logico perché l’esecuzione dei lasciti testamentari così come il pagamento dei debiti evitano qualsiasi forma di risentimento perché direttamente collegati alla libera volontà del testatore. Così, è forse che la frase “affinché non arrechino danno ad altri” indica che la ripartizione dell’eredità per quote-parti/al-warth è preconizzata dal Corano per prevenire conflitti e tensioni dovute alla spartizione del reliquato non assegnato dal testatore tramite lascito testamentario/al-waṣyya. Questo sembra essere lo spirito della raccomandazione/waṣyya di Dio concernente l’eredità per quote al fine che non sia fatto torto a nessuno poiché Dio è “sapiente, indulgente”. Infine, conviene qui osservare che le differenti traduzioni hanno comunemente reso, secondo la loro propria coerenza, waṣyya come “comandando”, “ingiunzione”, “ordine”. Ora, se nel versetto 11 è scritto come introduzione: “Dio vi raccomanda”, il versetto 12 non può concludersi, logicamente, con “Dio ordina”! Secondo la stessa logica induttiva, l’esegesi ha reso la locuzione tilka ḥudûdu–llâh con “tali sono gli ordini di Dio” anche se il plurale ḥudûd assume il significato di “pene corporali”, “ordini” o “leggi” soltanto nel vocabolario giuridico post-coranico e sta qui invece ad indicare senza ambiguità etimologica “fine”, “scopo”, “obiettivo”, “ciò che è negli obiettivi di Dio”, in questo caso “che non venga [a nessuno] fatto torto”. Questo concetto di equità spiega perché, nel versetto 14, colui che “Oltrepassa i Suoi Terminii” è severamente condannato: “Il l’introduira en un feu où il demeurera, il subira un tourment infamant”. Ciò nonostante, visto che la Promessa del Paradiso è ricordata nel versetto 13: “chi ubbidisce a Dio e al Suo Messaggero, Dio lo farà entrare nei Giardini alla cui ombra scorrono i fiumi”, e che una tale grazia non può essere soltanto il risultato dell’obbedienza a Dio in materia di eredità del reliquato, significa che il Corano effettua qui uno slittamento di piano basandosi sulla filosofia generale dei suoi propositi: l’equità e la giustizia. Così il segmento inverso: “Dio lo farà entrare nel fuoco dove resterà” non riguarda in particolare chi non rispetta la ripartizione dell’eredità per quote che, in fondo, non è che una “raccomandazione”, ma riguarda piuttosto chi commette iniquità e ingiustizia.

Per riassumere, abbiamo constatato che per il Corano i lasciti testamentari/al-waṣyya hanno un carattere di obbligazione morale espressa attraverso la prescrizione kataba mentre l’eredità per quote/al-warth non è che una raccomandazione indicata attraverso il verbo awṣâ. Abbiamo poi illustrato i meccanismi con cui in seguito l’esegesi dell’Islam ha invertito la percezione di questa gerarchia rendendo obbligatoria in primo luogo l’eredità per quote/al-warth e riducendo i lasciti testamentari/waṣyya a una misura secondaria e facoltativa.

 

3. Generalizzazione di un caso particolare

 

Tratteremo qui di un procedimento messo in atto dall’Islam per imporre la sua propria concezione, contraria al Corano. Primariamente, come abbiamo dimostrato, il Corano concepisce i lasciti testamentari/al-waṣyya come lo strumento generale e l’eredità per quote/al-warth come una misura secondaria volta a ripartire il reliquato dei beni che sono rimasti fuori dal testamento, da utilizzare in casi particolari. L’Islam storico ha generalizzato invece la pratica dell’eredità per quote/al-warth dandole priorità sui lasciti testamentari/al-waṣyya e riducendo quest’ultima a una misura marginale. In secondo luogo, l’Islam ha di fatto affermato che il segmento del versetto 11: “Quanto ai vostri figli, Dio vi raccomanda di lasciare al maschio la parte di due femmine” fosse in materia di eredità l’emanazione della volontà di Dio di istituire una disuguaglianza strutturale tra uomini e donne, generalizzando in realtà un caso particolare che riguardava i “figli” dell’erede e altri casi particolari. In effetti, nello stesso versetto 11 si può leggere: “se sono solo femmine e più di due, spettano loro i due terzi dell’eredità, mentre se è una femmina sola le spetta la metà” e “I genitori del defunto avranno ciascuno un sesto dell’eredità qualora il defunto abbia un figlio”, quest’ultima, situazione in cui uomini e donne ricevono una parte uguale di eredità. Stessa cosa al versetto 12: “Se un uomo o una donna non hanno eredi, né ascendenti né discendenti, ma hanno un fratello o una sorella, a ciascuno di loro toccherà un sesto, mentre se sono più di due divideranno un terzo”

D’altronde, se il Corano avesse istituito come regola generale: “al maschio la parte di due femmine”, questa sarebbe contraddetta dal sistema di lasciti testamentari in cui non viene in alcun modo precisato che l’uomo debba ricevere il doppio della donna. È solo riconoscendo che l’enunciato “al maschio la parte di due femmine” non si pone come regola generale (ma come regola secondaria da seguire in caso di ripartizione per quote del reliquato) che si può risolvere la suddetta contraddizione e capire come l’Islam ha effettuato una generalizzazione di un caso particolare.

4. Cancellazione delle misure coraniche

 

L’ideale è sempre di cancellare le prove del delitto e l’Islam storico procede in tal senso quando decide, unilateralmente, che i versetti 11-14 della Sura 4 sull’eredità per parti/al-warth abroghino il versetto 180 della Sura 2 prescrivente i lasciti testamentari/al–waṣyya come prioritari. Per quanto radicale, questa misura ha il merito di essere chiara quanto alle intenzioni dell’Islam: imporre l’eredità per quote/al-warth come modalità principale di successione a discapito dei propositi coranici. Questo illustra anche tutta l’arbitrarietà insita nel concetto di abrogazione, che né la ragione né la fede potrebbero ammettere. Il fatto stesso di emettere questa abrogazione è prova del fatto che gli esegeti canonisti avevano perfettamente compreso che per il Corano i lasciti testamentari/al–waṣyya riducevano a congrua proporzione lo spazio lasciato all’eredità per quote/al-warth. La posizione coranica era per loro inaccettabile, tanto che il potere, politico e religioso, si è da sempre auto-proclamato gestore del bene e dei beni del popolo. La ragione del più forte è sempre la migliore, ma mai la più veridica. Constateremo che i nostri abrogatori hanno cancellato una prescrizione: “vi è precritto/ kutiba ‘alaykum” (Sura 2, v.180) sostituendola con un consiglio: “Dio vi raccomanda/ yûṣî-kum”.

Meno radicalmente, ma altrettanto efficacemente per manipolare le coscienze, molti hadith sono stati adoperati per ridurre l’importanza dei lasciti testamentari/ al–waṣyya. L’obiettivo dell’Islam era quello di sviluppare un solido sistema di controllo sui beni della massa, e questo fu reso possibile anche grazie a questi hadith. Citeremo due di questi hadith:

A Sa‘d Ibn Abi Waqâṣ che voleva trasmettere per lascito testamentario/waṣyya la totalità dei suoi beni il Profeta rispose: il terzo solamente, e il terzo è molto”.[15]

Non bastando questo ai nostri giuristi, un altro hadith ancora più drastico fu promulgato:

Secondo Abû Umâma al Bâhilî, il Profeta ha detto: non c’è lascito testamentario/waṣyya in favore di un erede [beneficiario dell’eredità per parti/al- warth] »[16].

Anche qui, l’Islam non esita ad opporsi al Corano che, per esempio, aveva detto a proposito dei beneficiari di waṣyya: E per coloro che la morte coglie e lasciano delle mogli: un testamento in favore delle mogli” (Sura 2, v. 240). Allo stesso modo, ricordiamo che il principio generale della waṣyya non tiene conto né del genere né del grado di parentela: “Agli uomini una parte di quello che hanno lasciato i padri, le madri o i parenti; anche alle donne una parte di quello che hanno lasciato i padri, le madri o i parenti. Sia poco o tanto, una parte determinata” (Sura 4, v.7). Se realmente questi hadith fossero stati emanati dal Profeta, questo ci obbligherebbe a pensare che Muhammad si permetteva di modificare il Corano, e che Dio ci preservi da un pensiero del genere!

Conclusioni

 

Abbiamo analizzato in dettaglio i meccanismi ermeneutici con i quali l’Islam è riuscito a imporre l’eredità per quote/al-warth come la prima e principale modalità della successione, a scapito delle disposizioni coraniche che si schierano a favore del lascito testamentario come misura prioritaria. In tal modo, l’Islam è riuscito a canonizzare la sua versione misogina e sessista: la donna è inferiore all’uomo, una inferiorità quantificabile qui a metà, il che implicherebbe che la donna varrebbe ontologicamente la metà d’un uomo.

Secondo il Corano, se il lascito testamentario/al-waṣyya ha un carattere morale fortemente prescrittivo/kataba, l’eredità per quote/al-warth è semplicemente raccomandata/awṣâ. Ora, l’eredità testamentaria/al-waṣyya si basa su un principio totalmente egualitario: “agli uomini, una parte … alle donne una parte”. Non c’è quindi da speculare sull’ingiustizia del passo: al maschio la parte di due femmine” che, in realtà, non è una regola generale di calcolo ma una misura da applicare a certi casi particolari. Inoltre, secondo il Corano, l’eredità per quote/al-warth riguarda solo il resto della proprietà per cui non è stata prevista destinazione attraverso lascito testamentario/al-waṣyya. Possiamo dedurre che la misura complementare e secondaria dell’eredità per quote/al-warth è prevista solo per evitare che dopo la devoluzione del patrimonio testamentario/al-waṣyya la famiglia del defunto entri in conflitto per quanto riguarda la ripartizione dell’eventuale reliquato non assegnato secondo la volontà del testatore. Sapendo che questa disposizione non ha un carattere legislativo vincolante, ma che si tratta soprattutto di una raccomandazione, di un consiglio, non sarebbe nemmeno necessaria alcuna contestualizzazione per risolvere il problema della disuguaglianza di genere in materia di eredità, anche se è vero che nella società araba di allora le donne erano in larghissima parte finanziariamente dipendenti dagli uomini e questo poteva legittimare il funzionamento del sistema secondario di ripartizioni per quote/al-warth. Infatti, se alcuni ritengono che la Legge divina debba essere atemporale e universale (e quindi non possa essere motivata da un dato contesto storico), l’eredità per quote/al-warth deriva da un consiglio. A differenza della legge, ogni consiglio è necessariamente in funzione di un contesto particolare, e ciò dovrebbe essere sufficiente per chiudere il dibattito e, ai nostri giorni, a permettere che musulmane e musulmani applichino solo l’equa distribuzione dei loro beni secondo la libera pratica, legale e non discriminatoria, dei lasciti testamentari/al-waṣyya.

Il volto oscuro dell’uomo ha tre facce: potere, denaro, sesso; non tre vie di tentazione, ma ciò che l’anima umana desidera quando cessa di combattere sé stessa. Ogni ingiustizia sulla terra è la conseguenza di queste forze di dominio, che alcuni esercitano l’uno contro l’altro. Non è una fatalità, l’essenza dell’Uomo, il Lupo che necessariamente divora il suo Fratello, il forte che strazia i deboli, ma i tre spettri che perseguitano le nostre vite, i frutti avvelenati del giardino del più grande tra gli dei: l’Ego. Coloro che adorano il loro Vitello d’oro non combattono più contro sé stessi, ma si ubriacano degli escrementi dei propri demoni. Non cercano più giustizia ed equità, un mondo migliore per tutti, ma accecati sprofondano in un mondo migliore soltanto per loro stessi. Di questi tre mostri: il potere della sottomissione, la violenza del denaro e l’oppressione sessuale, le donne sono le prime vittime.

Questo è il modo in cui gli uomini soggiogano le donne, nel nome della tradizione o nel nome della religione; non importa che Dio tracci la via, gli uomini faranno Legge contraria. Le Rivelazioni sono l’espressione del desiderio di Dio verso l’Uomo, del desiderio di verità, uguaglianza e giustizia. Le loro interpretazioni sono  spesso un’espressione del desiderio degli uomini: un desiderio di menzogna, disuguaglianza e ingiustizia. In questo modo, ogni ortodossia “maschia” ha reso schiavi i Testi sacri per asservire e assoggettare più facilmente le donne.

 

NOTE

[1] “Se distorcete, se rifiutate”: “se renderete falsa testimonianza, se rifiuterete di testimoniare”.

[2] Nota del traduttore: per i versetti coranici riportati nell’articolo in francese, ho utilizzato la traduzione italiana di Gabriele Mandel (ed. 2016), confrontandola con le traduzioni di Bausani e di Zilio Grandi Ventura. Nel corso dell’articolo, in assenza di note, il testo coranico citato si riferirà alla traduzione di Mandel.

[3]  Un orfano di un padre non eredita suo nonno. Zie materne o paterne, nipoti (maschi e femmine), nipoti (per via collaterale) e cugine sono escluse dalle leggi di successione.

[4] Un classico esempio tra gli altri è ricordato da Abdelmajid Charfi: un uomo muore lasciando una moglie, due figlie e suo padre e sua madre. La moglie ha diritto a un ottavo dell’eredità, o 3/24, le due ragazze hanno due terzi, o 16/24, il padre ha il sesto, o 4/24, e la madre anche il sesto (4 / 24). Il totale delle azioni supererebbe quindi l’unità: 27/24. Questo tipo di aberrazione matematica deriva dal fatto che il segmento coranico “al maschio, la parte uguale a quella di due donne” destinato ad alcuni casi particolari viene assunto a principio generale. Giuristi e contabili hanno quindi inventato la tecnica della cosiddetta riduzione delle proporzioni/‘awl al fine di risolvere le contraddizioni che l’indebita generalizzazione aveva provocato. Vedere il punto 3. Generalizzazione di un caso particolare.

[5] S2. V.180 : « كُتِبَ عَلَيْكُمْ إِذَا حَضَرَ أَحَدَكُمُ الْمَوْتُ إِنْ تَرَكَ خَيْرًا الْوَصِيَّةُ لِلْوَالِدَيْنِ وَالْأَقْرَبِينَ بِالْمَعْرُوفِ حَقًّا عَلَى الْمُتَّقِينَ »

[6] Nota del traduttore: nel testo francese, il termine arabo al–aqrabîn viene tradotto con “i più prossimi”; questo viene confermato dalle maggiori traduzioni francesi del testo coranico. In italiano, le traduzioni di Mandel, Bausani e Zilio Grandi Ventura concordano sulla resa del termine come “parenti”.

[7] S4.V7 : “لِلرِّجَالِ نَصِيبٌ مِمَّا تَرَكَ الْوَالِدَانِ وَالْأَقْرَبُونَ وَلِلنِّسَاءِ نَصِيبٌ مِمَّا تَرَكَ الْوَالِدَانِ وَالْأَقْرَبُونَ مِمَّا قَلَّ مِنْهُ أَوْ كَثُرَ نَصِيبًا مَفْرُوضًا”

[8] S4.V8 : « وَإِذَا حَضَرَ الْقِسْمَةَ أُولُو الْقُرْبَى وَالْيَتَامَى وَالْمَسَاكِينُ فَارْزُقُوهُمْ مِنْهُ وَقُولُوا لَهُمْ قَوْلًا مَعْرُوفًا »

[9] Nota del traduttore: si tratta di “dono” perché non vi è nessun obbligo, se non un obbligo morale, di devolvere ai poveri parte dell’eredità.

[10] S4.V11-14 : يُوصِيكُمُ اللَّهُ فِي أَوْلَادِكُمْ لِلذَّكَرِ مِثْلُ حَظِّ الْأُنْثَيَيْنِ فَإِنْ كُنَّ نِسَاءً فَوْقَ اثْنَتَيْنِ فَلَهُنَّ ثُلُثَا مَا تَرَكَ وَإِنْ كَانَتْ وَاحِدَةً فَلَهَا النِّصْفُ وَلِأَبَوَيْهِ” لِكُلِّ وَاحِدٍ مِنْهُمَا السُّدُسُ مِمَّا تَرَكَ إِنْ كَانَ لَهُ وَلَدٌ فَإِنْ لَمْ يَكُنْ لَهُ وَلَدٌ وَوَرِثَهُ أَبَوَاهُ فَلِأُمِّهِ الثُّلُثُ فَإِنْ كَانَ لَهُ إِخْوَةٌ فَلِأُمِّهِ السُّدُسُ مِنْ بَعْدِ وَصِيَّةٍ يُوصِي بِهَا أَوْ دَيْنٍ آَبَاؤُكُمْ وَأَبْنَاؤُكُمْ لَا تَدْرُونَ أَيُّهُمْ أَقْرَبُ لَكُمْ نَفْعًا فَرِيضَةً مِنَ اللَّهِ إِنَّ اللَّهَ كَانَ عَلِيمًا حَكِيمًا (11) وَلَكُمْ نِصْفُ مَا تَرَكَ أَزْوَاجُكُمْ إِنْ لَمْ يَكُنْ لَهُنَّ وَلَدٌ فَإِنْ كَانَ لَهُنَّ وَلَدٌ فَلَكُمُ الرُّبُعُ مِمَّا تَرَكْنَ مِنْ بَعْدِ وَصِيَّةٍ يُوصِينَ بِهَا أَوْ دَيْنٍ وَلَهُنَّ الرُّبُعُ مِمَّا تَرَكْتُمْ إِنْ لَمْ يَكُنْ لَكُمْ وَلَدٌ فَإِنْ كَانَ لَكُمْ وَلَدٌ فَلَهُنَّ الثُّمُنُ مِمَّا تَرَكْتُمْ مِنْ بَعْدِ وَصِيَّةٍ تُوصُونَ بِهَا أَوْ دَيْنٍ وَإِنْ كَانَ رَجُلٌ يُورَثُ كَلَالَةً أَوِ امْرَأَةٌ وَلَهُ أَخٌ أَوْ أُخْتٌ فَلِكُلِّ وَاحِدٍ مِنْهُمَا السُّدُسُ فَإِنْ كَانُوا أَكْثَرَ مِنْ ذَلِكَ فَهُمْ شُرَكَاءُ فِي الثُّلُثِ مِنْ بَعْدِ وَصِيَّةٍ يُوصَى بِهَا أَوْ دَيْنٍ غَيْرَ مُضَارٍّ وَصِيَّةً مِنَ اللَّهِ وَاللَّهُ عَلِيمٌ حَلِيمٌ (12) تِلْكَ حُدُودُ اللَّهِ وَمَنْ يُطِعِ اللَّهَ وَرَسُولَهُ يُدْخِلْهُ جَنَّاتٍ تَجْرِي مِنْ تَحْتِهَا الْأَنْهَارُ خَالِدِينَ فِيهَا وَذَلِكَ الْفَوْزُ الْعَظِيمُ (13) وَمَنْ يَعْصِ اللَّهَ وَرَسُولَهُ وَيَتَعَدَّ حُدُودَهُ يُدْخِلْهُ نَارًا خَالِدًا فِيهَا وَلَهُ عَذَابٌ مُهِينٌ”

Nota del traduttore: ho utilizzato qui la traduzione di Zilio Grandi Ventura, eccetto per la seconda parte del versetto 12 che l’autore Al Ajamî ha tradotto diversamente. Nella traduzione di Zilio Grandi Ventura (e nelle altre traduzioni italiane) quella parte recita così:

“Se un uomo, oppure una donna, che non abbia ascendenti o discendenti lasciano un’eredità e hanno un fratello o una sorella, a ciascuno di essi spetta un sesto; se invece questi fratelli sono in numero maggiore, parteciperanno ad un terzo dell’eredità dopo che siano stati pagati eventuali lasciti o debiti, affinché non arrechino danni ad altri; è un precetto di Dio, Dio è sapiente e indulgente.”

[11] Il verbo prescrivere deriva dal latino praescribere “scrivere in testa” di præ [prima, prima] e scribere [scrivere].

[12] Nota del traduttore: ho utilizzato per il v.11 della Sura 4 la traduzione di Zilio Grandi Ventura, che riporta il verbo “raccomandare”. Stessa scelta viene operata da Bausani, mentre Mandel traduce: “Dio vi impone”

[13] Nota del traduttore: Mandel utilizza qui la traduzione “senza far torto a nessuno”

[14] Nota del traduttore: dal francese “dopo che siano stati pagati eventuali lasciti o debiti, senza far torto a nessuno”

[15] Hadith autentificato da Bukhârî e Muslim

[16] Hadith riportato daIbn Mâja e autentificato da Albani

 

Traduzione: Moira de Grisogono

Foto: Il vecchio agha Kadder bel Hadj e la sua famiglia, Ammi Moussa, Relizane 1895

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