La tutela del sexwork è femminista e anticapitalista, intervento a Casa Rossa Occupata – SLUM, OmbreRosse & NCQueer

Di seguito l’intervento elaborato da Sono l’unica mia. e Non Collettivo Queer per la 12° Festa Antifascista a Montignoso (Massa), presso Casa Rossa Occupata

il testo che segue è scritto con femminile inclusivo
artista delle illustrazioni: exotic cancer

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Ciao a tutte, tutti e tuttu,
siamo Sveva Basirah, Thrix, Alessandro e Chiara e facciamo parte dei progetti Sono l’unica mia. (SLUM) e Non Collettivo Queer.
Siamo qui per parlare di lavoro sessuale perché riteniamo che includere i diritti delle/dei/* lavoratrici/tori/* del sesso tra i diritti delle/dei/* lavoratrici/tori/* sia una lotta fondamentale per il femminismo e l’anticapitalismo, in quanto forma di opposizione ed emancipazione dal basso.

Quando parliamo di sexwork non parliamo solo di prostituzione, ma di tutte le attività che gravitano attorno alla sessualità e al sesso, nelle loro espressioni più varie: lavoratrici nel porno, chi fa cam, hotline, chi lavora nei saloni di massaggi , chat erotiche etc…
L’interazione tra individui avviene sia a livello fisico che virtuale, entrambi accomunati dal fatto di essere un rapporto di lavoro, una prestazione di servizi dietro compenso, come qualsiasi altro tipo di lavoro.
Ci è sembrato necessario dar voce a chi non ha potuto parlare in prima persona e metterci la faccia. Le compagne che si sono esposte in precedenza, infatti, hanno subìto e subiscono tuttora ripercussioni anche nella vita privata.

Il luogo comune vuole che ad esercitare queste attività siano esclusivamente donne, poco istruite, giovani in difficoltà socio-economiche che si trovano costrette ad accettare questa condizione malvolentieri. La realtà dei fatti ci mostra invece un panorama molto variegato nelle sue identità di genere, età, orientamenti sessuali e tipo di prestazioni offerte; in queste attività sono coinvolte:
uomini, transessuali, persone diversamente abili, studenti, laureati, persone che esercitano lavoro sessuale come secondo lavoro, persone che lo fanno per un periodo determinato…
Probabilmente ognun* di voi li conosce o li frequenta e non lo sa!

Questo nostro testo è frutto della collaborazione con alcune compagne appartenenti a collettivi di sexworkers italiani.
Troppo spesso il sexwork viene assimilato alla tratta, fenomeno mafioso che alimenta dal più ampio scenario dell’immigrazione clandestina, che si avvantaggia della marginalizzazione e del non riconoscimento di questo tipo di lavoro e alla conseguente condanna di queste persone alla semi illegalità.
Abbiamo scelto di riportare le richieste del Collettivo di sexworkers Ombre Rosse in merito alla depenalizzazione:

“La legge Merlin è stata sicuramente una legge innovativa e trasformativa, che ha liberato molte donne dalla schiavitù delle case di tolleranza.
Dalla chiusura delle case chiuse, come luoghi di sfruttamento delle donne, al fatto che la legge Merlin non ha voluto in alcun modo vietare la prostituzione di per sé.

Ciò che la legge Merlin punisce sono, infatti, condotte messe in atto da terzi, ed in particolare l’induzione, lo sfruttamento e il favoreggiamento del lavoro sessuale. E proprio qui troviamo i limiti dell’attuale impianto normativo: sulla lacunosità del concetto di induzione, di sfruttamento e favoreggiamento e della loro ambiguità in chiave criminalizzante delle attività di lavoro sessuale svolte da più lavoratrici alla pari.

Di esempi per comprendere come questo possa ledere l’autodeterminazione e l’autorganizzazione delle sexworkers ne abbiamo molti: è considerato favoreggiamento e/o induzione quando due sexworkers condividono i clienti o si passano informazioni sulla liquidità o sulla sicurezza relative ad un cliente? L’attività organizzata di più sexworkers è o non è sanzionata come sfruttamento?
Il proprietario di casa dove vivono e lavorano due sexworkers rischia di essere accusato di favoreggiamento? Può questa persona essere punita per sfruttamento quando consente l’attività nell’appartamento di sua proprietà o peggio se chiede un canone di locazione?

Al di là dell’applicazione o meno della legge Merlin a casi come questi, rimane certo che si tratta di attività al limite della legalità. Questa circostanza non è neutra perché determina paura per la propria vulnerabilità, spezza i legami di solidarietà tra chi pratica il lavoro sessuale in modo libero e consapevole e conduce all’isolamento e alla ricattabilità, alimentando di fatto la possibilità che si creino le condizioni per lo sfruttamento.
L’abrogazione delle norme penali contenute nelle legge Merlin davvero creerebbe quel vuoto normativo sottraendo tutela alle donne che vengono sfruttate e alle vittime della tratta?
Esistono comunque in Italia leggi che tutelano la libertà personale e in particolare quella sessuale e dell’integrità psicofisica, fino al reato di tratta, di sfruttamento della prostituzione minorile, di riduzione in schiavitù così come il reato di sfruttamento dell’immigrazione clandestina.

Dovremmo forse domandarci se la legge Merlin, sia ad oggi soprattutto funzionale alla perpetuazione dello stigma e a soffocare ogni forma di autodeterminazione dell’esercitare il lavoro sessuale, consentendo una volta di più a chi già esercita potere sui territori, nei quartieri (siano essi sfruttatori o poliziotti) di continuare a controllare i nostri corpi.
Sul solco tracciato da questa normativa, oggi invece potremmo osare di più!
Raggiungere la completa decriminalizzazione del lavoro sessuale se esercitato in autonomo e autodeterminato. 

Solo la libertà delle sexworkers di autorganizzarsi, la loro visibilità e la solidarietà di tutte le alleate ci libereranno dallo sfruttamento.”

Quindi quello che le lavoratrici del sesso chiedono è la decriminalizzazione, cioè la rimozione di ogni legge che criminalizza direttamente o indirettamente il sexwork, benché le sexworkers e l’industria sessuale siano comunque soggette alla legge statale, come avviene per ogni altro settore commerciale; si oppongono invece fortemente alla legalizzazione che renderebbe il lavoro sessuale sottoposto a controllo governativo e non reato solo in determinate condizioni.
Questa posizione politica è sostenuta da molteplici organizzazioni delle Nazioni Unite, organizzazioni per i diritti umani competenti quali Human Rights Watch ed Amnesty International, organizzazioni anti-tratta ed importanti forum femministi.

Secondo quanto sostenuto da TAMPEP, rete europea per la prevenzione dell’HIV/STIs e per la promozione della salute tra le migranti sexworker, i gruppi anti-prostituzione usano la retorica anti-tratta per porre fine alla prostituzione. La lobby anti-immigrazione usa il discorso anti-tratta per aumentare le restrizioni sull’immigrazione.
La criminalizzazione del lavoro sessuale, delle sexworkers e dei loro clienti è spesso accompagnata dalle leggi anti-immigrazione, che intendono arrestare e deportare forzatamente i migranti senza documenti. Come risultato, le sexworkers sono spinte verso contesti marginalizzati in cui si rifugiano per evitare la persecuzione e il rischio di espulsione.

Data l’ampia definizione di tratta, le misure per scoraggiare la domanda dovrebbero riflettere l’ampiezza e la serietà di tutti i motivi per i quali le persone sono trafficate, incluso per esempio l’industria delle costruzioni, l’agricoltura, la trasformazione alimentare, il lavoro domestico e di cura.
TAMPEP ha anche notato un aumento nelle iniziative finanziate dall’UE ed altri donatori per sostenere sforzi anti-tratta ed abolizionisti, ma raramente a gruppi guidati da sexworkers o organizzazioni che mostrano attivamente di lottare per i loro diritti umani.

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Casa Rossa Occupata venerdì 30

Il modello svedese – un modello legislativo creato in Svezia nel 1999 – ambisce a ridurre la prostituzione, non ad assicurare condizioni di lavoro più sicure per le sexworkers. Questa iniziativa legislativa criminalizza i clienti e tratta chiunque sia coinvolto nel commercio del sesso come fossero tutte vittime. Immediatamente dopo che la legge è stata introdotta c’è stato un graduale calo del sexwork per strada ma non c’è nessun dato evidente che attesti che il numero di sexworkers sia diminuito.

Le sexworkers svedesi notano che la criminalizzazione ha portato a meno tempo per negoziare condizioni lavorative e luoghi di lavoro sicuri. Le lavoratrici indoors non possono più richiedere informazioni sui clienti quali nome e numero di telefono, e non hanno tempo per negoziare i servizi da fornire, cosa che influisce sulla loro sicurezza. Sono spinte a lavorare ai margini delle città in aree meno visibili ed accessibili. Così è più probabile contatti con gli sfruttatori.
Le sexworkers trovano notevoli barriere per accedere a servizi di prevenzione, trattamento e cura soprattutto a causa di stigma, discriminazione e criminalizzazione.

La repressione crescente e la criminalizzazione del lavoro sessuale oltre a non rilevare una diminuzione del numero di prostitute hanno reso le lavoratrici più vulnerabili all’HIV/STIs. Le ha forzate a lavorare in spazi clandestini, riducendo il loro accesso a misure di salute e prevenzione, e ne mina la dignità.
La criminalizzazione pone inoltre forti rischi per i gruppi vulnerabili in relazione alla trasmissione dell’HIV, in quanto scoraggia le sexworkers dal sottoporsi ad esame e alla ricerca di servizi sanitari adeguati ai loro bisogni. Inoltre, un ampio numero di organizzazioni su HIV e salute, incluse WHO e UNAIDS, hanno esposto ai politici i rischi legati alla salute se si criminalizzano le sexworkers e/o i loro clienti.

Le voci delle sexworkers sono spesso ignorate o mal utilizzate dai politici e dai mass media.

In questo contesto di invisibilità ed isolamento, le sexworkers migranti sono particolarmente colpite da misure repressive e dalla crescente xenofobia.

La dichiarazione universale dei diritti umani afferma che “tutti hanno diritto al lavoro, alla libera scelta della professione, a condizioni lavorative giuste e favorevoli e alla protezione dalla disoccupazione”. Queste prescrizioni della Dichiarazione sono estese e rese legalmente vincolanti nella Convenzione Internazionale sui Diritti economici, Sociali e Culturale ICESCR, che richiede ai paesi di riconoscere il diritto al lavoro, incluso il diritto di chiunque all’opportunità di guadagnarsi da vivere col lavoro che liberamente sceglie o accetta”. Inoltre obbliga i paesi a garantire “condizioni di lavoro sicure e salubri” e una paga equa.

Tutto ciò rivela i meccanismi di potere della struttura economico-patriarcale, che si fonda sullo sfruttamento basato sulla gratuità del lavoro di cura delegato alle donne in cambio di rispettabilità.

Sulla vostra rispettabilità ci sputiamo sopra!

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