Politicizzazione dell’aborto e disobbedienza ippocratica nel Sudan islamista – SLUM

Liv Tønnessen e Samia Al-Nagar, traduzione dall’inglese di Irene Favalli. Articolo originale di Health and Human Rights Journal, qui.
La foto in copertina è di Christophe Cerisier, scattata vicino una moschea della città di Kassala.

Abstract

Nello stato islamista del Sudan, l’aborto è politicizzato attraverso la sua associazione con la gravidanza illegale. La fornicazione è un crimine contro Dio punibile con 100 frustate e la gravidanza al di fuori di un contratto matrimoniale costituisce una prova sufficiente dell’immoralità di una donna. Ciò crea un forte legame tra il reato di fornicazione e il reato di aborto illegale, tanto che i nostri intervistati spesso uniscono le due cose col termine “gravidanza illegale”. Nonostante l’aborto non appaia nel dibattito politico interno sulla salute riproduttiva e materna delle donne e non è all’ordine del giorno del movimento nazionale femminile, esso è tuttavia diventato politicizzato nell’attuazione pratica della legge. Numerose barriere burocratiche, oltre a una forte presenza di polizia al di fuori dei reparti di maternità negli ospedali pubblici, rendono difficile per le donne non sposate accedere alle cure di emergenza dopo le complicazioni di un aborto illegale. Queste donne sono a rischio di arresto per i reati di fornicazione e aborto illegale. Tuttavia, molti medici, onorando il giuramento di Ippocrate, disobbediscono alla politica statale e si astengono dal denunciare tali crimini alla polizia per proteggere dalle accuse donne non sposate e vulnerabili.

Introduzione

L’aborto non sicuro è una delle principali cause di mortalità materna e le morti materne legate all’aborto sono generalmente più elevate nei paesi che limitano alle donne la possibilità di accesso all’aborto indotto. [1] Nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA), solo la Tunisia e la Turchia hanno legalizzato l’aborto su richiesta della madre durante il primo trimestre di gravidanza. [2] La maggior parte delle leggi sull’aborto nella regione sono punitive e i servizi legali sono limitati. [3] Nello stato islamista del Sudan, l’aborto indotto è un crimine tranne quando eseguito per salvare la vita della donna incinta, se il feto muore in utero, e in caso di stupro. [4]

In questo articolo, vogliamo esplorare le dinamiche politiche che guidano la criminalizzazione dell’aborto in Sudan e i suoi effetti sull’accesso da parte delle donne alle cure legate all’aborto a Khartum. La criminalizzazione dell’aborto costituisce una parte importante della posizione ideologica restrittiva del governo islamista sui diritti sessuali e riproduttivi delle donne in generale. Il Sudan non ha ratificato alcuna convenzione internazionale o regionale a tutela dei diritti umani delle donne. L’aborto è un’area particolarmente delicata all’interno della salute materna e dei diritti riproduttivi perché può entrare in conflitto col reato di zina (rapporto sessuale prima o al di fuori del matrimonio). Il Sudan è unico tra i paesi di Medio Oriente e Nord Africa, poiché la gravidanza nelle donne non sposate è considerata una prova sufficiente per il reato di zina come indicato nel Codice Penale del 1991 [5]. Ciò consente un forte legame tra il reato di fornicazione e il reato di aborto illegale, che ne modella la politicizzazione in modi particolari. Il sentimento prevalente tra i funzionari islamici del Sudan è che lo scopo principale delle donne sia sposarsi e produrre figli – e finché la riproduzione ha luogo all’interno del matrimonio, l’aborto non è necessario se non in circostanze eccezionali. Secondo questo punto di vista, solo le donne non sposate che rimangono incinte illegalmente avrebbero bisogno di abortire per “nascondere” le prove della fornicazione. [6]

La scarsa ricerca disponibile sull’aborto in Sudan suggerisce che l’alto tasso di gravidanze indesiderate, combinato con una legge sull’aborto restrittiva e lo stigma sociale, costringe le donne a cercare un aborto illegale e non sicuro, spesso di nascosto dalle loro famiglie. [7] Mentre le donne che possono permetterselo sono in grado di accedere a aborti illegali sicuri affidandosi al mercato privato (dove possono acquistare misoprostol), le donne con uno status socioeconomico inferiore devono ricorrere ad aborti illegali non sicuri, che possono spesso portare a complicazioni e alla necessità di cercare cure di emergenza negli ospedali pubblici. [8]

Sulla base di dati originali raccolti attraverso il lavoro sul campo tra il 2011 e il 2019, abbiamo scoperto che sebbene l’aborto non compaia nel dibattito politico interno sulla salute riproduttiva e materna delle donne e non sia all’ordine del giorno del movimento sudanese delle donne, è tuttavia politicizzato in fase di attuazione della legge. In questo caso definiamo ‘politicizzazione’ come l’attuazione politicamente contestata di una legge. I nostri risultati indicano che le barriere e le politiche burocratiche impediscono e scoraggiano l’aborto illegale, che è politicamente e socialmente considerato intrinsecamente collegato alla gravidanza illegale. Queste barriere, che contravvengono al diritto delle donne alla salute, alla dignità e alla sicurezza, si trovano principalmente negli ospedali pubblici, dove vi è una maggiore presenza della polizia al di fuori dei reparti di maternità e di emergenza. Pertanto, le donne non sposate in cerca di cure salvavita si trovano sorvegliate nel momento in cui entrano in un ospedale senza essere accompagnate da un tutore maschio.

Le donne che cercano cure mediche di emergenza a causa delle complicazioni di un aborto illegale sono in balìa dei medici, che hanno la responsabilità di decidere se denunciarle alla polizia o meno. Abbiamo coniato il termine “disobbedienza ippocratica” per catturare i modi sottili e spesso nascosti in cui i medici sudanesi disobbediscono alle politiche statali per proteggere un gruppo vulnerabile, cioè le donne non sposate, dalle accuse. Lo fanno a costo di un grande rischio personale, e spesso andando contro la propria convinzione personale che l’aborto sia haram (proibito) nell’Islam e che la fornicazione sia moralmente sbagliata.

Raccolta dei dati e analisi

Abbiamo condotto uno studio qualitativo basato su interviste nella capitale del Sudan. In totale, abbiamo condotto 37 interviste semi-strutturate con una varietà di parti interessate nel 2011, 2013, 2015, 2017, 2018, e 2019. Abbiamo selezionato i gruppi iniziali di intervistati in base al loro ruolo per quanto riguarda la salute e i diritti sessuali e riproduttivi. Da qui ci siamo allargati con cautela sfruttando delle figure chiave di cui avevamo conquistato la fiducia. Abbiamo intervistato donatori internazionali, medici e ostetriche in ospedali pubblici e privati e università mediche, attivisti per i diritti delle donne, politici, unità di protezione della famiglia e dei bambini, giornalisti e studiosi di religione. Trentatré delle interviste sono state condotte di persona a Khartum e quattro via e-mail. Ventotto di queste interviste sono state condotte in inglese, mentre cinque sono state condotte in arabo e successivamente tradotte in inglese. Abbiamo condotto tutte le interviste di persona. Le interviste sono durate da mezz’ora a un’ora e mezza. A causa della delicatezza dell’argomento, non abbiamo registrato le interviste, prendendo invece accuratamente appunti. Tutti gli intervistati hanno dato a voce il loro consenso ad essere intervistati. Tutti gli intervistati rimangono anonimi.

La maggior parte degli intervistati sono medici che attualmente lavorano o hanno recentemente lavorato in ospedali pubblici. Il campione di medici è alquanto distorto, poiché non siamo stati in grado di raggiungere quelli al di fuori di questo contesto, sia quelli che commettono aborti illegalmente o quelli che sono irremovibili nel denunciare gravidanze illegali alla polizia.

La maggior parte dei dati raccolti per questo articolo è stata raccolta nel 2018 e nel 2019 nell’ambito del progetto “Political Determinants of Sexual and Reproductive Health: Criminalization, Health Impacts and Game Changers.” Il progetto indaga gli effetti sulla salute della criminalizzazione del comportamento sessuale e riproduttivo e dei servizi sanitari; analizza inoltre le dinamiche politiche che guidano, ostacolano e modellano gli usi di tale criminalizzazione in nove paesi africani, includendo paesi sub-sahariani prevalentemente cristiani (Uganda, Malawi, Etiopia, Kenya, Mozambico, Zambia e Sudafrica) e paesi musulmani nordafricani (Sudan e Tunisia). L’approvazione etica per questa ricerca è stata ottenuta dal Norwegian Center for Research Data (numero di approvazione 60055). Tutte le interviste sono state condotte prima della caduta del presidente Omar al-Bashir nell’aprile 2019. Una rivolta popolare pacifica, iniziata nel dicembre 2018 con lo sciopero di medici e altri professionisti, espulse Bashir, che aveva governato il Sudan fin dal colpo di stato militare nel 1989. Alcuni dei suoi sostenitori chiave all’interno dell’esercito rimangono in posizioni centrali mentre il Sudan sta attraversando la transizione ad un governo civile.

Lo studio si basa fortemente sui dati delle interviste, ma triangoliamo la nostra analisi con altre fonti di dati, come testi legali, piani e politiche sanitarie del governo e rapporti dei media.

Diritti riproduttivi delle donne e politica in Sudan

Il governo islamista del Sudan ha concentrato la propria attenzione sulla riduzione del tasso di mortalità materna nel paese, che attualmente è stimato a 295 decessi materni per 100,000 nati vivi. [9] Tuttavia, esistono enormi disparità tra città e campagna. Le cure ostetriche e neonatali di emergenza necessarie per salvare vite umane sono scarse e il sistema sanitario sudanese è costantemente a corto di fondi. [10] Il Sudan ha registrato una significativa riduzione del tasso di mortalità materna nel 2011, quando il Sud Sudan si è separato dal nord ed è diventato il paese con il più alto tasso di mortalità materna al mondo. Motivazioni ostetriche dirette contribuiscono al 60% delle morti materne in Sudan. Questa elevata prevalenza è associata a molti fattori di rischio, tra cui la mutilazione genitale femminile o circoncisione femminile (MGF/CF), i parti in età giovanile, l’elevata fertilità e gli ostacoli all’accesso ai servizi sanitari per la maternità. [11]

Negli ultimi anni, la salute e i diritti riproduttivi delle donne hanno ricevuto una maggiore attenzione del governo nelle strategie e nei piani d’azione per salvaguardare la salute; contemporaneamente il governo si impegna per raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo del Millennio – e il successivo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile – per ridurre la mortalità materna. [12] In particolare, le MGF/CF (con un tasso di prevalenza dell’89%) e il matrimonio infantile (con un tasso di prevalenza del 34%) sono stati i primi obbiettivi degli sforzi di aiuto internazionale e dei programmi di salute riproduttiva e diritti riproduttivi del governo nazionale e della società civile. [13]

Tuttavia, gli aborti non sicuri e la legge restrittiva sull’aborto non hanno fatto parte del dibattito pubblico sulla riduzione della mortalità materna. L’articolo 135 del codice penale del 1991 limita l’aborto legale ai casi in cui è necessario per salvare la vita della donna, quelli in cui il feto muore in utero e nei casi di stupro che devono avvenire meno di 90 giorni prima che la donna incinta si sottoponga ad aborto. La pena aumenta da tre a cinque anni di prigione se l’aborto indotto ha luogo dopo l’insediamento dell’anima. [14] L’animazione è un concetto islamico in base al quale il feto raggiunge lo status di persona, che nel codice penale del Sudan è fissato a 90 giorni dal concepimento. [15]

Secondo uno dei pochi studi condotti a Khartum, la maggior parte delle donne in cerca di servizi abortivi (96.7%) va in ospedale per il trattamento di complicanze post-aborto o dopo aborti incompleti. [16] L’effettiva diffusione degli aborti non sicuri è sconosciuta in Sudan, in parte a causa dell’illegalità dell’aborto. [17] Tuttavia, considerando che l’uso di contraccettivi è basso e la necessità, non soddisfatta, di pianificazione familiare è elevata, è ragionevole concludere che esista un numero elevato di aborti illegali e non sicuri [18]. La pianificazione familiare è stata percepita da attori politici e religiosi conservatori come una minaccia al ruolo naturale e primario delle donne nella riproduzione. [19] I metodi tradizionali per l’aborto autoindotto includono bere erbe, ingerire varie droghe e veleni e inserire oggetti nell’utero.[20] Il misoprostol è recentemente emerso come un’alternativa sicura, ma è disponibile solo in ospedali privati selezionati e sul mercato nero (ovviamente a un costo molto più elevato). [21]

La ricerca disponibile suggerisce che solo una piccola minoranza di donne cerca aborti legali, facendolo principalmente per salvare la vita della gestante. [22] L’aborto legale dopo lo stupro è quasi impossibile da ottenere, ma i contraccettivi di emergenza sono distribuiti da organizzazioni internazionali nelle aree di conflitto. [23] I contraccettivi (compresi i contraccettivi di emergenza), l’aborto e le cure post-aborto devono essere somministrati da un medico esperto, il che è una sfida considerando la scarsità dei medici, specialmente nelle zone colpite dal conflitto e nelle zone rurali [24].

Le restrizioni legali del Sudan sull’aborto derivano da una serie di leggi codificate dal regime islamista che sono discriminatorie nei confronti delle donne. Basandosi su interpretazioni conservatrici della religione musulmana, gli islamisti hanno limitato invece che ampliato i diritti riproduttivi e sessuali delle donne. Il Sudan è uno dei pochi paesi al mondo che non ha ratificato la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, in quanto i funzionari del governo ritengono che sia sostanzialmente in contraddizione con la shari’a. E non ha nemmeno ratificato il Protocollo della Carta Africana sui Diritti Umani e dei Popoli sui diritti delle donne in Africa, che raccomanda la legalizzazione dell’aborto. A livello internazionale, il governo islamista ha assunto una posizione attivamente restrittiva sul diritto delle donne ad abortire. Ha boicottato la Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo al Cairo nel 1994, affermando che la pianificazione familiare e l’aborto sono contrari alla shari’a. Ha molestato le organizzazioni della società civile sudanese che hanno partecipato alla conferenza del Cairo e ha chiesto la chiusura dell’ufficio del Sudan dell’UNFPA, che considerava un organo dedito alla cospirazione contro la popolazione del Sudan. In ambito domestico, la pianificazione familiare raramente fa parte dei dibattiti pubblici. Tuttavia, dalla conferenza al Cairo c’è stata una leggera svolta  nella politica del governo sudanese sull’aborto. La Politica sulla Salute Riproduttiva del 2010 affronta per la prima volta la prevenzione dell’aborto e delle gravidanze indesiderate, nonché le cure post-aborto. Inoltre, la Roadmap 2010-2015 per la riduzione della morte e della mortalità materna e neonatale in Sudan riconosce l’aborto non sicuro come una delle cause della morbilità e della mortalità materna. Una nuova inclusione potenzialmente rivoluzionaria nella roadmap era che gli operatori sanitari di medio livello potessero amministrare  In un paese con una carenza di medici, in particolare nelle zone rurali, dove la mortalità materna è la più alta, questa disposizione potrebbe fare un’enorme differenza nel ridurre il numero di decessi materni correlati ad emorragie post partum.

Politicizzazione dell’aborto attraverso la zina

L’aborto è politicizzato attraverso la sua associazione con il crimine di zina, un concetto all’interno della giustizia penale islamica che rende punibile il rapporto sessuale tra persone che non sono sposate. Tale rapporto sessuale è criminalizzato nel Codice penale del Sudan del 1991 con 100 frustate per i trasgressori non coniugati (fornicazione) e lapidazione a morte per i trasgressori coniugati (adulterio). La zina è un crimine cosiddetto hadd (plurale hudud), nel senso che è considerato un ordine diretto di Allah e punizioni fisse derivate da fonti islamiche. I reati hudud occupano un posto centrale nella invocazione alla shari’a da parte degli islamisti sudanesi, che li considerano crimini contro l’Islam stesso.

Il codice penale del Sudan segue la scuola di giurisprudenza islamica malikita, in cui la gravidanza di una donna non sposata è considerata una prova sufficiente di fornicazione. Tuttavia, nelle altre tre scuole di diritto sunnite, la gravidanza non costituisce una prova di zina. [25] Il Sudan è quindi uno dei pochi paesi islamici (insieme a Iran, Arabia Saudita, Pakistan e Afghanistan) ad aver criminalizzato la zina e l’unico a considerare la gravidanza una prova sufficiente del crimine per le donne non sposate.

In Sudan, l’introduzione delle pene hudud è stata inserita in un più ampio appello all’islamizzazione da parte degli islamisti, che sono saliti al potere con un colpo di stato militare nel 1989. Il presidente Omar al-Bashir e la sua cerchia di sostenitori hanno avviato un processo di islamizzazione totale della legge sudanese. La criminalizzazione della zina è stata un’importante componente simbolica della costruzione di una nazione islamica di cui la famiglia musulmana è la pietra di fondazione. Il regime sudanese ha reso il controllo dell’abbigliamento e del comportamento delle donne negli spazi pubblici una pietra miliare del suo governo trentennale. Ad esempio, le donne sono legalmente obbligate a indossare l’hijab e a vestirsi e comportarsi “decentemente” e “moralmente” negli spazi pubblici. Secondo il regime, queste leggi e regolamenti sono necessari per impedire alla società di decadere in una condizione di fitna (caos sessuale). Se le donne si vestono o si comportano in modo inappropriato, indurranno gli uomini a fare sesso prematrimoniale. Pertanto, garantire che i rapporti sessuali avvengano solo all’interno del matrimonio e imporre un rigoroso controllo legale e sociale degli abiti e del comportamento delle donne è la ricetta degli islamisti per una società morale e islamica [26].

Sebbene l’Islam dia più libertà del cristianesimo per quanto riguarda l’aborto, questa non può diventare legge. Se lo diventasse, le persone prenderebbero questa decisione ogni giorno. C’è il timore che le ragazze facciano sesso prematrimoniale e rimangano incinte ogni mese. L’aborto libero è la legalizzazione della zina. (intervista, 2017)

La gravidanza illegale è un segno di cattiva condotta legale e sociale; pertanto, è impensabile che una donna sposata cerchi un aborto, poiché il suo compito principale è quello della riproduzione. Nel contesto sudanese, si pensa che solo una donna non sposata e immorale potrebbe volere un aborto. Nelle parole di un attivista sudanese per i diritti delle donne:

L’aborto è una chiara indicazione di cattiva condotta. In aggiunta a ciò, nelle comunità musulmane, avere figli è considerato la cosa più nobile da fare, quindi anche il desiderio di non volere un figlio è un grosso errore. Parte del valore delle donne, e in effetti la parte più importante per le donne, è essere fertili e dare alla luce il maggior numero possibile di bambini, e le donne che pensano addirittura fare delle pause tra le gravidanze vengono messe in discussione. La femminilità di una donna si misura dalla sua capacità di dare alla luce bambini. (intervista, 2017)

Secondo le élite conservatrici politiche e religiose, se l’aborto diventasse facilmente disponibile, sarebbe un incentivo per le donne non sposate a commettere crimini immorali (“gravidanze illegali”) e il Sudan precipiterebbe nel caos morale. Questa posizione è stata dimostrata in un raro dibattito pubblico sull’argomento quando DKT International e il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione sono stati autorizzati a fornire formazione agli operatori sanitari sulle cure post-aborto. Nel periodo 2005-2011 DKT International è stato il principale fornitore non governativo di prodotti e servizi per la salute riproduttiva in Sudan. [27] Le scuole di medicina sudanesi offrono poca o nessuna formazione sull’assistenza post-aborto. I conservatori religiosi temono che tale formazione e la disponibilità di attrezzature incoraggino le gravidanze “illegali” e che l’aborto sia il mezzo con cui donne e ragazze potrebbero evitare l’accusa di immoralità. Uno studioso religioso presso l’African International University, che ha lavorato come consigliere religioso e sanitario presso il Consiglio nazionale per il benessere dei bambini, lo ha riassunto così:

L’islam è chiaro sull’aborto, è haram, ma l’aborto è legale nel caso in cui tre ostetrici e ginecologi abbiano confermato un danno alla madre a causa della presenza del bambino o se il bambino è deformato al 100%. Ma l’aborto al di fuori del matrimonio non è permesso. Non possiamo risolvere un crimine con un crimine. Le ragazze non sposate non mantengono la morale e rimangono incinte e molte di loro buttano i loro bambini nell’orfanotrofio di Maigoma. Non si assumono la responsabilità dei loro errori. Qualsiasi apertura all’aborto significa dare alle ragazze l’opportunità di fare sesso come vogliono … Siamo una società conservatrice e dovrebbe esserci disciplina. (intervista, 2019)

La paura che le donne non sposate fornicheranno e utilizzeranno l’aborto illegale per nascondere le prove del loro crimine spinge quindi il governo a imporre barriere burocratiche. Ad esempio, in Sudan, non è possibile partorire in un ospedale pubblico senza prima fornire un certificato di matrimonio [28]. Barriere come queste violano il diritto alla salute delle donne.

Ostacoli burocratici

Secondo la roadmap per la riduzione della morte e della mortalità materna e neonatale in Sudan, il misoprostol può e deve essere somministrato da operatori sanitari di medio livello. Tuttavia, questo non è stato attuato per paura che le ostetriche lo usassero per praticare aborti illegali. Sono in atto procedure rigorose per prevenirne l’uso improprio. Misoprostol è disponibile solo nelle farmacie degli ospedali con reparti maternità e deve essere prescritto da un ostetrico-ginecologo anziano con la sua firma e un timbro dell’ospedale. Le ostetriche possono usarlo solo sotto supervisione. “Perché l’ostacolo burocratico? Perché le ostetriche aiutano nell’aborto illegale. Ecco perché lo tengono lontano da loro ”(intervista con ostetrico-ginecologo, 2018).

Secondo un’attivista per i diritti delle donne, il misoprostol non è stato reso disponibile per gli operatori sanitari di livello medio perché c’è il timore che possa essere usato per effettuare aborti illegali:

La roadmap non è implementata. I legislatori sono influenzati da idee religiose e pensano che se le ostetriche avessero accesso ai farmaci potrebbero usarli per far abortire le ragazze non sposate e questo diffonderebbe l’immoralità. Sono più preoccupati della moralità che della vita delle donne. (intervista, 2019)

Un ostetrico-ginecologo ha ricordato un caso in cui la polizia arrivò in un reparto di maternità in un ospedale pubblico di Khartum e insistette per ricevere il modulo 8 prima che l’assistenza medica potesse essere prestata in un caso di emergenza:

La sicurezza ha detto al medico che aveva bisogno di ottenere il modulo 8 prima che la donna potesse essere visitata al pronto soccorso, ma il medico ha detto che questo può aspettare. Tuttavia, hanno minacciato il medico e detto che se la donna fugge, questa è una sua responsabilità. Quindi il dottore ha detto alla polizia che se fosse morta, questa era una loro responsabilità perché avevano ritardato il suo trattamento. (intervista, 2018)

Secondo gli operatori sanitari che abbiamo intervistato, tuttavia, le donne hanno maggiori probabilità di essere arrestate per gravidanza illegale che per aborto illegale. Un medico che insegna anche in una scuola di medicina ci ha detto: “La punizione per l’aborto illegale non è così comune per le donne. Tuttavia, per le ostetriche e i medici c’è un alto rischio di arresto ”(intervista, 2018). Sebbene l’aborto non faccia parte del discorso politico pubblico, l’arresto di medici e ostetriche per aver compiuto l’aborto illegale talvolta fa capolino nei media. Un caso ben noto è quello di Abdulhadi Ibrahim, che è stato incarcerato per aver fornito aborti illegali. Il tribunale lo ha ritenuto colpevole di non aver denunciato alle autorità che stava trattando donne incinte non sposate. [31] In un caso più recente, i media sudanesi hanno riferito che la polizia ha scoperto una clinica per aborti illegali dopo aver arrestato un gruppo di prostitute, uno delle quali era in condizioni critiche a causa di complicazioni dovute ad un aborto illegale. Dopo che la polizia ha interrogato la donna, lei li ha condotti alla clinica illegale. [32]

Controllo dei reparti maternità

Per entrare in un reparto maternità, si deve passare attraverso un cancello sorvegliato da agenti di polizia; una volta all’interno della struttura, gli agenti di polizia operano in borghese. Secondo i nostri intervistati, la presenza della polizia negli ospedali pubblici è maggiore rispetto ad altre cliniche e ospedali. Ogni donna che viene in ospedale da sola è sospettata di una gravidanza illegale. Un ostetrico-ginecologo in un ospedale pubblico di Khartum lo descrive così: “Sei sposata? Dov’è tuo marito? Se entri in un reparto di maternità da sola, sei sospetta.”(intervista, 2018).

Se una donna è sospettata di una gravidanza illegale, la polizia la interroga mentre è in ospedale, a volte anche mentre riceve cure mediche: “Una volta durante un parto cesareo d’emergenza, la polizia si è presentata in sala operatoria, chiedendo dove fosse il marito, perché pensavano che fosse una gravidanza illegale ”(intervista a un ostetrico-ginecologo, 2018). Un altro ostetrico-ginecologo ha ricordato un caso in cui la polizia era così ansiosa di arrestare una donna per una gravidanza illegale che l’hanno ammanettata durante il parto:

Il personale di sicurezza e la polizia trattano male le donne, come se fossero giudici, anche prima di presentare il suo caso al sistema legale. Una volta, una donna incinta di due gemelli è stata ammanettata per tutto il tempo ed è stata dimessa direttamente in prigione a causa di una gravidanza illegale. (intervista, 2018)

Questa presenza intrusiva della polizia negli ospedali pubblici può rendere difficile per i medici fornire assistenza medica con dignità e integrità ai pazienti che soffrono di complicazioni dopo un aborto illegale.

L’aborto, sebbene non frequente nel discorso pubblico, è politicizzato attraverso la sua associazione con una gravidanza illegale, un crimine contro Dio secondo la shari’a. Pertanto, l’aborto illegale – un mezzo attraverso il quale è possibile scoprire le donne che hanno commesso il crimine di zina – è rigorosamente controllato.

Disobbedienza ippocratica

Se una donna con una gravidanza illegale viene segnalata alla polizia o no dipende solo dalla visione ideologica del medico. In altre parole, è una questione di fortuna. Un’attivista per i diritti delle donne l’ha messa così:

Il trattamento delle donne in cerca di questo tipo cure dipende fortemente dalla morale del medico. Alcuni aderiscono all’etica professionale e forniscono assistenza senza violare il principio della privacy e del segreto professionale, e alcuni lavorano come informatori alla polizia a causa del loro obbligo nei confronti della religione e della società. (intervista, 2015)

La maggior parte dei nostri intervistati ha dichiarato che non avrebbero denunciato una donna alla polizia. In altre parole, ignorerebbero il Modulo 8 e tratterebbero il caso come un aborto spontaneo, senza rivelare che la donna non è sposata.

Tuttavia, il nostro campione è sbilanciato nei confronti delle ostetriche-ginecologhe più giovani : non siamo stati in grado di raggiungere né i medici più conservatori che avrebbero potuto denunciare la polizia o i più liberali che avrebbero eseguito aborti illegali sicuri. I medici che abbiamo intervistato trovano la forte presenza della polizia e il controllo negli ospedali altamente inappropriati, dato che incoraggiano la punizione sproporzionata nei confronti dei pazienti vulnerabili. Nelle nostre interviste, hanno descritto come sovvertono questa presenza della polizia perché ritengono che la segnalazione di pazienti alle autorità contraddica il loro giuramento di Ippocrate. Inoltre, le linee guida di etica medica emanate dal Consiglio dei Medici del Sudan nel 2013 stabiliscono che i medici non sono legalmente obbligati a denunciare una gravidanze illegali, nascite nascoste o aborti illegali a meno che ciò non comporti la morte della paziente.

Abbiamo identificato tre modi in cui i medici hanno disobbedito alla politica del governo islamista nei confronti dell’assistenza medica ai pazienti con gravidanza illegale/aborto illegale: non compilare il modulo 8, consigliare ai pazienti di mentire o mentire per loro e distrarre la polizia.

Non compilare il modulo 8

In caso di reato, i medici devono compilare il modulo 8 e denunciare alla polizia. Tuttavia, la maggior parte dei medici che abbiamo intervistato ha riferito di non aver rispettato questa direttiva. Una delle domande cruciali nel determinare se una gravidanza è illegale è valutare se la paziente è sposata. Come affermato in precedenza, la gravidanza al di fuori del matrimonio è prova del crimine di fornicazione. Secondo le parole di un ostetrico-ginecologo, “la maggior parte dei medici ha una posizione neutrale sul fatto che la paziente sia sposato o meno. Faranno il loro dovere e le salveranno la vita a prescindere. Ho avuto un caso, ma non l’ho segnalato alla polizia ”(intervista, 2018). Un altro dottore e docente presso un’università medica di Khartum ha detto in modo simile:

Non ho mai segnalato … Insegno agli studenti che se scoprono un aborto illegale dovrebbero prendersene la massima cura e non denunciarlo … Eticamente devi trattare le persone senza stigmatizzazione … Dico ai miei studenti di ignorare il modulo 8. (intervista, 2018)

Ciò significa che il caso è registrato nei file ospedalieri come una complicazione dovuta ad aborto spontaneo invece che una complicazione dovuta ad aborto non sicuro.

Consigliare ai pazienti di mentire o mentire per loro conto

Quando le donne entrano nei reparti maternità da sole, sono sospette agli occhi della polizia. In tali casi, come descritto sopra, la polizia a volte interferisce con il trattamento medico del paziente interrogando o ammanettando la donna. Secondo i nostri intervistati, una delle strategie utilizzate dai medici per sfuggire all’attenzione della polizia è quella di mentire per conto della paziente o incoraggiarla a mentire quando le viene chiesto del suo stato civile, ad esempio dicendo che suo marito lavora all’estero. Un’ostetrica-ginecologa ha ricordato un caso:

Arrivò una giovane donna. Era incinta illegalmente. La polizia è arrivata e ha detto che era incinta illegalmente. Ho mentito e detto che suo marito era in Arabia Saudita. Sono rimasta con lei fino al mattino per assicurarmi che non tornassero per arrestarla … Non ho mai riferito alla polizia. La maggior parte dei medici non denuncia. Non vogliono sentirsi in colpa per la ragazza. Non credo nell’uccidere un bambino, ma … c’è un forte accordo tra i medici sul fatto che l’aborto sia haram. (intervista, 2018)

Nel proteggere queste donne dall’accusa di gravidanza illegale, i medici corrono il rischio di essere arrestati. Nelle parole di un medico generico, “È illegale e può far finire la tua carriera” (intervista, 2018). Lo fanno nonostante le loro convinzioni personali secondo cui la gravidanza illegale è moralmente sbagliata. Ciò è ben illustrato dall’osservazione di un’ostetrica-ginecologa che abbiamo intervistato:

Personalmente non indurrò l’aborto in un caso di adulterio per motivi etici ma se è venuta con un aborto incompleto posso completarlo … Ricordo che una ragazza di 23 anni è venuta al reparto maternità per comprare misoprostol a qualunque costo ma abbiamo detto che non potevamo darglielo. E poi è venuta con un aborto incompleto perché è andata da un’ostetrica … Non sono affari miei giudicare i pazienti, anzi, al contrario, quei casi hanno bisogno di una consulenza. Anche il sistema legale non dovrebbe punirla per questo. La paziente che è venuta da me per ottenere il misoprostol e in seguito è venuta con un aborto incompleto, la mia sensazione in quel momento era dispiacere per lei e non ho mai pensato che dovesse essere punita. Questo perché sarà punita abbastanza dall’impatto psicologico delle sue azioni e dallo stigma della perdita della verginità. (intervista, 2018)

La convinzione che la gravidanza illegale sia moralmente sbagliata e che l’aborto illegale sia contro l’Islam era prominente tra i dottori che abbiamo intervistato. Ma attraverso le loro azioni, i medici si oppongono alla punizione sproporzionata e ingiusta dello stato islamista nei confronti di donne prevalentemente giovani, non sposate e vulnerabili e divieto da parte dello Stato di fornire cure dignitose senza pregiudizio. Nelle parole di un ostetrico-ginecologo, “il ruolo degli operatori sanitari non è quello di giudicare il paziente” (intervista, 2018). I medici sono vincolati dal giuramento medico, che afferma che devono fornire pari assistenza medica a tutti, siano essi virtuosi o peccatori, amici o nemici, ricchi o poveri, e indipendentemente dalla razza o dalla religione. [33] Quando si tratta di una donna non sposata che soffre di complicazioni dopo un aborto illegale, l’impegno etico dei medici nei confronti del paziente supera l’obbligo di attenersi a ciò che viene percepito come una punizione ingiusta e sproporzionata.

Lo stigma di perdere la propria verginità prima del matrimonio è considerato una punizione sufficiente che comporta “implicazioni per il resto della vita della ragazza” (intervista con ostetrico-ginecologo, 2018), soprattutto perché riduce la possibilità di un buon matrimonio, che nel contesto sudanese è un simbolo importante della buona reputazione e dell’onore di una famiglia. Pertanto, la punizione di 100 frustate per il reato di fornicazione è spesso vista come sproporzionata. È anche considerato ingiusto il fatto che la punizione si applichi solo alle donne e non agli uomini. Come ha affermato un medico, “La colpa è data solo alle donne. Nessuno dice niente dell’uomo.”(intervista, 2018).

Abbiamo coniato il termine “disobbedienza ippocratica” per catturare il modo in cui i medici sudanesi disobbediscono alle politiche statali per proteggere i pazienti dalle accuse. Ispirato ai diversi tipi di disobbedienza civile di Ronald Dworkin e alla nozione di “underground ippocratico” di Robert Macauley, il concetto di disobbedienza ippocratica consiste nel rifiutare di fare qualcosa imposta dalla legge per motivi politico-morali e con l’obiettivo di proteggere un gruppo vulnerabile. [34] Basiamo questa idea su due correnti letterarie.

La prima è la letteratura sull’obiezione di coscienza, che definisce tale obiezione come “il rifiuto di partecipare a un’attività che un individuo considera incompatibile con le sue credenze religiose, morali, filosofiche o etiche”. [35] La letteratura si concentra sul fatto che l’obiezione di coscienza ostacoli o meno i diritti delle donne e l’accesso all’aborto in contesti giuridici sia liberali che restrittivi [36]. Ciò che abbiamo descritto in Sudan non può essere racchiuso da questo concetto, poiché i medici stanno prestando assistenza nonostante la loro personale convinzione morale e religiosa che l’aborto sia sbagliato. Tuttavia, gli atti dei dottori intervistati per questo studio condividono alcuni tratti con gli atti degli obiettori di coscienza, in quanto non cercano necessariamente di pubblicizzare le loro azioni o le  ragioni per cui violano la legge. In altre parole, la disobbedienza dei dottori che abbiamo intervistato è nascosta al pubblico. Inoltre consiste in atti individuali nella vita professionale e quotidiana di un medico, invece che in uno sforzo collettivo o organizzato. Di conseguenza, la disobbedienza non è necessariamente legata a una resistenza contro il sistema nel suo insieme o alla lotta per liberalizzare la legge sull’aborto.

La seconda corrente di letteratura che influenza la nostra idea è quella che riguarda la disobbedienza civile, dato che gli atti sopra descritti vanno oltre le “obiezioni”: i medici rifiutano di seguire politiche e protocolli per denunciare le donne alla polizia, un atto meglio descritto come disobbedienza. Come l’obiezione di coscienza, la disobbedienza civile è motivata da opinioni sincere su ciò che è moralmente giusto. La disobbedienza civile è definita da John Rawls come “un atto pubblico, non violento, coscienzioso, ma politico che va contro la legge, di solito praticato con l’obiettivo di provocare un cambiamento nella legge o nelle politiche del governo”. [37] Secondo James Childress, è guidato da motivi morali e politici, in contrasto con l’obiezione di coscienza, che è guidata da motivi morali personali o religioso-morali [38]. Il concetto di disobbedienza civile è limitato ad atti di natura politica e, nel campo della medicina, è storicamente correlato al sostegno ai gruppi vulnerabili. [39] In questo caso, la disobbedienza è legata alla punizione sproporzionata e ingiusta da parte dello stato verso donne che si trovano già in una posizione vulnerabile. Sullo sfondo di uno stato autoritario e islamista, la disobbedienza mostrata dai medici sudanesi non è tuttavia pubblica.

Potenziale di trasformazione?

Non vi è stata alcuna mobilitazione legale, da parte degli operatori sanitari o del movimento delle donne, per liberalizzare il diritto all’aborto in Sudan. L’aborto non sicuro è in fondo all’elenco delle priorità in termini di riduzione del tasso di mortalità materna del paese.

Ci sono diverse ragioni per questa mancanza di mobilitazione. La prima è la paura di una doppia ripercussione, sia dallo stato islamico e autoritario sia dalla società conservatrice del paese.

L’aborto (tranne che per salvare la vita della donna) è ampiamente riconosciuto come contrario alla dottrina islamica. Tuttavia, ci sono molteplici interpretazioni nella giurisprudenza islamica riguardo a in quali circostanze le donne possano ricorrere all’aborto e a quando si verifichi l’animazione [40]. È l’associazione con la zina e la gravidanza al di fuori del matrimonio che rende quasi impossibile mobilitarsi per la legalizzazione in Sudan; e mettere in discussione la dottrina religiosa su cui si basa il crimine hadd di zina significa rischiare di essere accusati di criticare l’Islam stesso, il che potrebbe portare ad accuse di apostasia, crimine punibile con la morte in Sudan. Inoltre, lo stato fa di tutto per assicurarsi che i gruppi di interesse non lavorino su argomenti delicati come l’aborto. Autorizzato dalla Legge sul lavoro volontario e umanitario del 2006 il governo può, e fa, imporre severe restrizioni al lavoro delle organizzazioni non governative nazionali e internazionali. Lo spazio politico per la difesa dell’aborto è quindi in quasi completamente inesistente e, per quanto ne sappiamo, ci sono solo due gruppi che lavorano sui diritti sessuali e riproduttivi al di là di un focus sulle MGF/CF e sul matrimonio minorile, e svolgono questo lavoro tenendo basso profilo. Nelle parole di un’attivista per i diritti delle donne, “La sicurezza potrebbe non consentire alle ONG di lavorare su questioni relative ai diritti riproduttivi” (intervista, 2019).

Le attiviste per i diritti delle donne che abbiamo intervistato hanno sottolineato il timore di stigmatizzazione e ripercussioni da parte della comunità se si mobilitassero per la liberalizzazione dell’aborto. L’aborto è un argomento tabù e ritenuto dall’opinione pubblica equivalente all’infanticidio, che è anche la terminologia spesso usata dai movimenti pro-vita in Occidente. Come riportato da unx attivista:

Le persone non sentono empatia per una decisione che percepiscono come uccidere un bambino. Incolpano la donna … Si riferiscono a un versetto coranico che condanna e proibisce l’infanticidio e che dice che dovresti fare affidamento su Dio per prendersi cura del bambino. (intervista, 2017)

La vittima è quindi il feto e non la donna o la ragazza che è rimasta involontariamente incinta. Anche se la MGF/CF era un argomento altrettanto tabù un decennio fa, le attiviste per i diritti delle donne intervistate affermano che è più facile fare campagne contro questo atto violento e dannoso in cui la bambina non ha voce  perché “nella MGF/CF, le ragazze sono vittime “(intervista, 2017). Pertanto, la difesa contro le MGF/CF è legata ai diritti dei bambini. L’aborto, d’altra parte, si riferisce al diritto di una donna di prendere decisioni riguardanti il suo corpo, incluso quanti figli vuole – se li vuole – e quando li vuole.

Insomma, se il movimento delle donne fosse a favore della liberalizzazione dell’aborto, dovrebbe affrontare la reazione non solo dello stato islamista ma anche della comunità in generale. Unx attivista lo ha riassunto così:

È un argomento molto delicato e legato alla religione in uno stato come il Sudan. Il Sudan ha boicottato la Conferenza sulla Popolazione del 1994 per motivi legati alla religione. La pianificazione familiare e l’aborto sono tra questi motivi. Pertanto, era difficile per il movimento femminista affrontare la questione dell’aborto; anche la stessa comunità non lo accetterebbe. (intervista, 2019)

La seconda ragione riguarda gli atteggiamenti conservatori tra gli attivisti per i diritti delle donne e tra i medici. Le attiviste per i diritti delle donne più giovani sostengono una liberalizzazione della legge sull’aborto e la inseriscono nel contesto dei diritti e delle libertà sessuali. Tuttavia, l’argomento è discusso solo in gruppi chiusi sui social media, come Whatsapp. La maggior parte dei nostri intervistati (compresi medici e attivisti) lo considera come moralmente e religiosamente sbagliato. Il movimento delle donne è quindi diviso sul fatto che la liberalizzazione dell’aborto sia una giusta causa. Gli atteggiamenti conservatori sono prevalentemente inquadrati all’interno della religione e dei valori sociali legati all’istituzione del matrimonio. Unx attivista ha detto:

L’estensione delle casistiche per l’aborto legale è un problema. Consentire l’aborto significa approvare relazioni socialmente immorali e non islamiche e ciò influisce sulle opportunità di matrimonio delle giovani donne. (intervista, 2019)

È interessante notare che gli atteggiamenti conservatori attraversano la divisione tra islamico e secolare. Nelle parole di unx attivista:

So che l’aborto è reso illegale dalle leggi islamiche … Alcuni giovani attivisti progressisti sono per le libertà e i diritti sessuali, ma come marxista penso che dobbiamo stare attenti affinché le libertà non possano portare alla mercificazione dei nostri corpi o alla prostituzione. (intervista, 2019)

Anche se la maggior parte degli intervistati si oppone a una completa depenalizzazione dell’aborto, è tuttavia aperta ad un’espansione delle casistiche in cui è consentito l’aborto, come nei casi di deformità fetale. Dalle nostre interviste è stato inoltre chiaro che lo stupro è spesso considerato una circostanza in cui  l’aborto è consentito. Tuttavia, gli intervistati hanno anche affermato che nelle zone di conflitto questo diritto è limitato alla contraccezione d’emergenza. Con nostra grande sorpresa, la maggior parte degli attivisti per i diritti delle donne e delle ostetrici-ginecologhi che abbiamo intervistato non sapevano che l’aborto dopo lo stupro è consentito entro 90 giorni. Un’attivista per i diritti delle donne che lavora in un centro di traumi per le vittime di violenza sessuale ha dichiarato:

Questa è la prima volta che sento di una legge del genere che dà il diritto all’aborto dopo lo stupro. La domanda che mi è venuta in mente è perché ci sono … migliaia di bambini con padri sconosciuti [a causa di uno stupro]. (intervista, 2019)

Ciò accade nonostante il fatto che la violenza sessuale sia emersa come una priorità assoluta nel programma di riforme legali del movimento delle donne. Il focus delle attiviste per i diritti delle donne è stato quello di fornire una migliore protezione legale alle vittime di stupro, qualcosa che è culminato in una riforma legale nel febbraio 2015. [41].

È chiaro che per promuovere i loro obiettivi di riduzione della mortalità materna e di rafforzamento dei diritti riproduttivi delle donne, i gruppi di interesse preferiscono non affrontare la questione dell’aborto non sicuro. Forse sono giustificati dal loro sforzo per l’abbandono della MGF/CF e del matrimonio infantile, poiché queste pratiche dannose sono diffuse in Sudan. La conseguenza forse involontaria della disobbedienza ippocratica è che non conosciamo l’entità del fenomeno degli aborti non sicuri e l’effetto negativo che hanno sul tasso di mortalità materna del paese. Dato che la disobbedienza ippocratica da parte dei medici significa che gli aborti non sicuri non sono registrati ufficialmente, essi rimangono nascosti nelle statistiche ufficiali.

Conclusione

L’accesso da parte delle donne all’aborto in Sudan è politicizzato a causa della sua associazione con la zina. Nel trattare le donne non sposate che soffrono di complicazioni dopo aborti illegali e non sicuri, i medici sono costretti a trovare un punto di incontro tra il loro dovere a seguire l’etica medica e il rispetto delle leggi e delle politiche del governo. Le nostre scoperte suggeriscono che questi operatori sanitari, in vari modi, stanno sovvertendo la legge e la politica statale attraverso ciò che chiamiamo “disobbedienza ippocratica”: proteggere un gruppo vulnerabile di donne dalle accuse per dare loro cure dignitose e senza pregiudizi. Sebbene questi medici credano personalmente che l’aborto sia proibito nell’Islam, si oppongono alla punizione sproporzionata e ingiusta dello stato islamista nei confronti delle donne prevalentemente giovani, non sposate e vulnerabili dal punto di vista socioeconomico.

Contemporaneamente le attiviste per i diritti delle donne non si sono mobilitate per la legalizzazione dell’aborto a causa del contesto restrittivo di uno stato islamista che esercita un controllo rigoroso e del  sospetto della società verso la sessualità delle donne. Mentre il Sudan si trova in transizione tra il regime militare islamista di Omar al-Bashir e un governo civile, potrebbe aprirsi un nuovo spazio politico per un dibattito pubblico e potrebbe essere presente un maggiore potenziale per il progresso dei diritti riproduttivi e sessuali delle donne. Un consiglio sovrano composto da parti sia civili sia militari governerà il Sudan per tre anni, dopodiché si terranno elezioni libere ed giuste. Il consiglio militare e la coalizione che rappresenta i manifestanti pacifici hanno concordato una nuova dichiarazione costituzionale che consente la riforma delle leggi sudanesi che sono discriminatorie sulla base del genere. Secondo la dichiarazione costituzionale, uno degli obiettivi primari del governo di transizione sarà quello di “condurre riforme legali che garantiscano i diritti delle donne, abrogando tutte le leggi che discriminano le donne, e proteggerne i diritti” [42].

Riconoscimenti

Questo articolo è stato finanziato dal Research Council of Norway (sovvenzione numero 248159). Abbiamo anche ricevuto finanziamenti dal progetto ARUS finanziato dall’Ambasciata Reale di Norvegia a Khartum, Sudan, per la parte del nostro riguardante lo studio sul campo. Vorremmo ringraziare Alicia Yamin, Siri Gloppen, Camila Gianella e gli esperti revisori anonimi per il loro feedback costruttivo.

Liv Tønnessen è direttore della ricerca presso il Chr. Michelsen Institute, Norvegia.
Samia al-Nagar è una ricercatrice indipendente con sede in Sudan.

Note

[1]. S. M. Latt, A. Milner e A. Kavanagh, “Abortion laws reform may reduce maternal mortality: An ecological study in 162 countries,” BMC Women’s Health 19/1 (2019)..
[2]. L. Hessini, “Abortion and Islam: Policies and practice in the Middle East and North Africa,” Reproductive Health Matters 15/29 (2007), pp. 75–84.
[3]. Ibid.
[4]. “Sudan: The Criminal Act 1991,” Arab Law Quarterly 9/1 (1994), pp. 32–80.
[5]. L. Tønnessen, “When rape becomes politics: Negotiating Islamic law reform in Sudan,” Women’s Studies International Forum 44 (2014), pp. 145–153.
[6]. L. Tønnessen e S. al-Nagar, Women and girls caught between rape and adultery in Sudan: Criminal law reform, 2005–2015 (Bergen: Chr. Michelsen Institute, 2015), p. 10.
[7]. J. W. Kinaro, T. E. Mohamed Ali, R. Schlangen e J. Mack. “Unsafe abortion and abortion care in Khartoum, Sudan,” Reproductive Health Matters 17/34 (2009), pp. 71–77; W. Elamin, A. B. Fazari, e K. Elmusharaf, “A qualitative study exploring women’s experiences of unsafe abortion in Sudan,” Open Journal of Social Sciences 5 (2017), pp. 149–158.
[8]. L. Tønnessen, “Women’s right to abortion after rape in Sudan,” CMI Insight 2 (2015).
[9]. World Health Organisation, Trends in maternal mortality 2000–2017: Estimates by WHO, UNICEF, UNFPA, World Bank Group and the United Nations Population Division (Geneva: World Health Organization, 2019).
[10]. G. Hussein Ibrahim, “The role of the health system in women’s utilisation of maternal health services in Sudan” (PhD thesis, London City University, 2015), p. 36.
[11]. Ibid., p. 22.
[12]. Republic of Sudan Federal Ministry of Health, The National Strategy for Reproductive Health 2006–2010 (Khartoum: Federal Ministry of Health, 2006); Republic of Sudan Federal Ministry of Health, Road Map for Reducing Maternal and Newborn Mortality in Sudan (2010– 2015) (Khartoum: Federal Ministry of Health, 2009).
[13]. S. al-Nagar e L. Tønnessen, “Women’s rights and the women’s movement in Sudan (1952–2014),” in B. Badri and A. M. Tripp, Women’s activism in Africa (London: Zed Books, 2017), pp. 121–156.
[14]. “Sudan: The Criminal Act 1991” (vedi nota 4).
[15]. Hessini (vedi nota 2).
[16]. Kinaro et al. (vedi nota 7).
[17]. A. A. Gerais, T. Umbeli, B. Imam, et al., “Situational analysis of unsafe abortion in Sudan” (unpublished presentation).
[18]. Elamin et al. (see note 7).
[19]. DKT International, “DKT Sudan: Ensuring the right for all to quality family planning options since 2005,” Sudan White Paper. Disponibile a questo link
[20]. Kinaro et al. (vedi nota 7).
[21]. Tønnessen (vedi nota 8).
[22]. Kinaro et al. (vedi nota 7).
[23]. Tønnessen (vedi nota 8).
[24]. Ibid.
[25]. Z. Mir-Hosseini e V. Hamzic, Control and sexuality: The revival of Zina laws in Muslim contexts (London: Women Living Under Muslim Laws, 2010).
[26]. A. Abdel Halim, “Gendered justice: Women and the application of penal laws in the Sudan,” in L. Oette (ed), Criminal law reform and transitional justiceHuman rights perspectives for Sudan (Farnham: Ashgate, 2011); S. A. Nageeb, New spaces and old frontiers: Women, social space, and Islamization in Sudan (Lanham, MD: Lexington Books, 2004).
[27]. DKT International (vedi 19).
[28]. C. Fluehr-Lobban, Shari’a and Islamism in Sudan: Conflict, law and social transformation (London: Tauris, 2012), p. 125.
[29]. K. Abuelgasim, “Who do I turn to? The experiences of Sudanese women and Eritrean refugee women when trying to access healthcare services in Sudan after being subject to gender-based violence” (Master thesis, Uppsala University, 2018).
[30]. Ibid.
[31]. “Sudan: Gynecologist remains defiant about abortion,” AllAfrica (September 19, 2011). Disponibile al link https://allafrica.com/stories/201109201259.html.
[32]. “Season of abortion among young women: Dr Abdu is in hands of police,” Al Sudani (February 13, 2018), p. 5.
[33]. Abuelgasim (vedi nota 29).
[34]. R. Dworkin, A matter of principle (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1985); R. Macauley, “The Hippocratic underground: Civil disobedience and health care reform,” Hasting Center Report 35/1 (2005), pp. 38–45.
[35]. W. Chavkin, L. Swerdlow, e J. Fifield, “Regulation of conscientious objection to abortion: An international comparative multiple-case study,” Health and Human Rights Journal 19/1 (2017), p. 55.
[36]. Vedere, per esempio, ibid.; L. Cabal, M. A. Olaya, e V. M. Robledo, “Striking a balance: Conscientious objection and reproductive health care from the Colombian perspective,” Health and Human Rights Journal 16/2 (2014), pp. 73–83; G. Ortiz-Millan, “Abortion and conscientious objection: Rethinking conflicting rights in the Mexican context,” Global Bioethics 29/1 (2018), pp. 1–15.
[37]. J. Rawls, A theory of justice (Oxford: Oxford University Press, 1971), p. 365.
[38]. J. F. Childress, “Civil disobedience, conscientious objection, and evasive noncompliance: A framework for the analysis and assessment of illegal actions in health care,” Journal of Medicine and Philosophy 10 (1985), p. 67.
[39]. Macauley (see note 34).
[40]. L. Hessini, “Islam and abortion: The diversity of discourses and practices,” IDS Bulletin 39/3 (2008), pp. 18–27.
[41]. L. Tønnessen, “Enemies of the state: Curbing women activists advocating rape reform in Sudan,” Journal of International Women’s Studies 18/2 (2017).
[42]. Per la traduzione in inglese della dichiarazione costituzionale firmata nell’agosto 2019, vedere qui.

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