L’articolo originale (qui) è stato scritto da Nabeela Jamil per Feminism In India ed è stato tradotto da Irene Favalli
Rabi’a Basri è un classico esempio di come la fede e l’amore possano renderci liberi. Fu la prima santa sufi dell’Islam, Rabia al-Adawiyya, conosciuta anche come Rabi’a Basri. Ha dato uno dei maggiori contributi allo sviluppo del sufismo. Insegnò a donne e uomini; e fu una donna che non chiamava nessun uomo il suo padrone. La sua reputazione supera quella di molti uomini musulmani all’inizio dello sviluppo del sufismo.

Da povera orfana a schiava, a donna libera
Rabi’a era la quarta figlia dei suoi genitori, estremamente poveri, originari di Basra (Iraq). Fu chiamata Rabi’a che significa letteralmente “quarta”. Dopo la morte dei suoi genitori fu venduta come schiava. Durante il giorno svolgeva le sue faccende nella casa del suo padrone e di notte pregava. Si ritiene che una notte il suo padrone abbia visto una luce che la circondava, cosa che lo ha lasciato esterrefatto, tanto che la mattina successiva la liberò. Da quel momento in poi Rabi’a aprì la propria strada da sola.
La filosofia rivoluzionaria dell ‘”Amore divino”
Una volta che Rabi’a ottenne la libertà andò nel deserto fuori da Basra e vi trascorse diversi anni in adorazione, facendo anche un pellegrinaggio alla Mecca. Rabi’a si concentrò sull’amore di Dio, credendo e insegnando che l’amore da solo è la via verso Dio. Le sue lunghe ore di preghiera non erano dedicate a chiedere cose a Dio, ma a parlare con lui. Dice: “Voglio spegnere i fuochi dell’inferno e bruciare le ricompense del Paradiso. Bloccano la via verso Dio. Non voglio adorare per paura della punizione o per la promessa di ricompensa, ma semplicemente per l’amore di Dio”.
Rabi’a amava Dio così tanto da dire che non aveva tempo di odiare Satana. “Il mio cuore è pieno dell’amore di Dio e non ha spazio per l’odio”.

Una donna single e indipendente
La sua vita di donna indipendente, influente e intellettuale ha dimostrato che la ricchezza e lo status non sono acquisiti attraverso risorse finanziarie, ma piuttosto attraverso la ricchezza del valore spirituale e del controllo dell’ego. Non è necessario essere un uomo o ricco per avere quindi uno status superiore agli occhi di Dio. Rabi’a condusse una vita in cui si era completamente distaccata da tutti gli altri desideri tranne l’amore per Dio.
Dimostrò in questo modo che avere questo legame personale era qualcosa per cui uomini e donne sono in grado di lottare, e che qualsiasi uomo o donna può scegliere questo percorso di vita libera. Rabi’a quindi perseguì consapevolmente uno stile di vita indipendente come donna, un percorso che anche molte altre mistiche sufi seguirono. Fu la presenza di spirito a rimettere al loro posto gli uomini intorno a lei, dei quali respinse anche molte proposte di matrimonio, dicendo: “Dio può darmi tutto ciò che offri tu e persino raddoppiarlo. Non mi fa piacere essere distratta da Lui anche solo per un momento. Quindi addio.”
Includendola tra i santi nella sua serie di brevi biografie, Farid al-Din Attar scrisse: Se qualcuno chiede: “perché hai incluso Rabi’a tra i ranghi degli uomini?” la mia risposta è che il profeta stesso disse: “Dio non considera le tue forme esteriori …” Inoltre, se è lecito derivare i due terzi della nostra religione da Aisha, sicuramente è lecito prendere istruzioni religiose da una ancella di Aisha.” Attar aggiunse inoltre “Rabi’a non era una sola donna ma valeva più di un centinaio di uomini.”
Leader spirituale di uomini e donne
Insegnò a donne e uomini il suo rivoluzionario misticismo d’amore, che produsse una ricca eredità. Era una donna volitiva che criticò e aiutò nel loro sviluppo gli altri maestri sufi del suo tempo.
“Portami dalla mia Maestra. Perché quando sono separato da lei, non trovo conforto,” dice Sufyan al-Thawri di Rabi’a. Spianò la strada alle sante che vennero dopo di lei e raggiunse, attraverso la distruzione del suo nafs (ego/sé), lo stato mentale che tutti i sufi si sforzano di ottenere.
La scelta di una vita di privazione
Visse una vita di privazione e povertà. Quando morì, a più di ottant’anni, i suoi beni includevano un tappetino di canna, un paravento, una brocca di ceramica e un letto che faceva anche da tappeto da preghiera. Disse: “Dovrei vergognarmi di chiedere cose di questo mondo a colui a cui il mondo appartiene”, aggiungendo, “e come potrei chiederle a coloro a cui non appartiene?”
La questione del femminismo
L’attenta conservazione di Rabi’a Basri della sua vita di donna indipendente, la sua posizione di leader intellettuale e spirituale femminile e la sua difesa di questa posizione, implicano egualitarismo. Anche la determinazione con cui Rabi’a rimetteva al loro posto gli uomini ebbe un effetto egualitario.
Alcuni studiosi ritengono che siccome Rabi’a non ha parlato apertamente dell’uguaglianza di uomini e donne, sarebbe sciocco identificarla come femminista. Tuttavia, la sua vita non si adattò agli schemi previsti per le donne del suo tempo ma seguì liberamente il suo percorso. Questa è anche la conclusione della femminista musulmana Leila Ahmed, che sostiene che Rabia abbia vissuto una vita libera, mantenendo “il pieno controllo e l’autonomia legale rispetto a se stessa in quanto non è né moglie, né schiava, né sotto alcuna autorità maschile”.
Ahmed conclude che il discorso emergente del femminismo islamico vuole sbarazzarsi della storia e della connotazione colonialista del progetto femminista importato fin dall’inizio del secolo scorso in Egitto e in Iran dai colonizzatori occidentali in opposizione alla tradizione islamica.
Note
1. Rabi’a: The Life & Work of Rabi’a and Other Women Mystics in Islam di Margaret Smith
2. The Life of Rabia al-Adawiyya: Reflections on Feminism and Fundamentalism di Karen Vintges
3. Rabia al-Adawiyya, Martyr of Divine Love di Abdel Rahman Badawi
4. Muslim Girl
5. Mvslim
6. Poetry Foundation
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