In Iran è stata uccisa una ragazza di soli 14 anni. E’ stata uccisa dal padre per delitto d’onore. Un approfondimento della sorella Kora Amani.
Scommetto che non sapete cosa significa namus. Nonostante io sia sicura di averlo sentito per la prima volta da piccola, è da qualche anno che sto cercando di capirne tutte le sue sfumature.
In mia difesa, nessuno te lo spiega chiaramente. Capisci che è importante. È estremamente importante. Che è il compito degli uomini della famiglia difendere il namus, se no non hanno ghayrah e un uomo che non ha ghayrah è un uomo che non merita rispetto, non è un uomo. E questa definizione per qualche anno sembra bastare.
Poi cresci e capisci che namus è costruito attorno al tuo corpo e tuo fratello, tuo padre, tuo zio, tuo cugino ma anche il vicino di casa che conosce la tua famiglia, in casi di emergenza, possono diventare i guardiani del namus. Un po’ ti fa piacere perché ti senti un po’ protetta, un po’ la cosa ti disorienta perché tu e il tuo benessere nel concetto di namus siete totalmente secondari. L’importante è preservare la reputazione degli uomini della famiglia. Lo scopri perché i tuoi comportamenti, da un sorriso a un bacio, in realtà possono danneggiare l’onore dei tuoi cari. Sai cosa potrebbe dire la gente? Vuoi davvero che la tua famiglia non riesca più ad alzare la testa? Quel che dice la gente è importante. Molto importante. Ma l’onore più importante, quello intoccabile, ce l’hai a quanto pare tra le gambe e tu non capisci, chi cazzo abbia messo l’onore di tuo padre in mezzo alle tue gambe.
Ma nessuno ne parla. Da nessuno parte. Molti perché lo ritengono un valore indiscutibile, altri perché lo ritengono un problema solo di persone di basso rango sociale, senza istruzione e provinciali.
E in questo silenzio totale muore Romina Ashrafi. 14 anni. Decapitata nel sonno dal padre. Secondo sua madre, non riuscendo più a respirare a causa delle regole rigide del padre, avrebbe chiamato l’uomo di 28 anni di cui era innamorata: “Portami via o mi ammazzo“. E lui l’ha portata via. La polizia ha ritrovato loro in poco tempo e ha riconsegnato lei alla famiglia, nonostante lei avesse supplicato di no. Suo padre più volte le aveva chiesto di ammazzarsi: “fallo tu, così non devo ammazzarti io”, così come aveva chiesto alla madre di insegnare alla figlia come impiccarsi e porre fine al disonore che aveva portato alla famiglia.
Romina è stata ammazzata la notte del suo rientro a casa. “Io avrei voluto anche dire in giro che questo infame l’aveva rapita ma lei ha pubblicato una storia su instagram con lui per dimostrare che era andata via di sua spontanea volontà. Non mi ha lasciato scelta.”
Circola da giorni sul web l’immagine di una locandina funebre locale, in cui dopo il nome della persona defunta, tradizionalmente vengono riportati i nomi delle persone afflitte dal dolore e in lutto. Il primo nome riportato sulla locandina è il nome del padre di Romina.
Su questa torta disgustosamente macabra c’è una ciliegina amara, amarissima: per la legge iraniana il padre di Romina non è perseguibile per omicidio. Secondo l’articolo 299 del codice penale iraniano, la punizione di qisas, ossia la pena capitale, che normalmente deriva da un omicidio, non si applica a un padre o un nonno paterno che uccide suo figlio. La madre ha al massimo diritto ad un risarcimento in forma di denaro per aver allattato il figlio ma secondo la giurisdizione islamica in vigore il figlio appartiene al padre. Nonostante la madre di Romina stesse chiedendo la pena capitale per il marito, quel che si prospetta, in base anche all’esito di episodi simili in passato, sono due o tre anni in carcere.
*Tutti i dettagli riguardanti l’omicidio sono state ricavate dagli articoli della BBC Persian e tradotti dal persiano.
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