“Perché si resta”: un viaggio tra queerness e religione – SLUM

Questo è il testo che lo slummino Francesca Ed Harriet, persona non binaria e bisessuale, ha scritto per noi nell’occasione dell’evento organizzato da Collettivo Queer Riot per il festival SocialCava “Femminismi, Religioni e Lotta Queer” del 29 agosto 2020. F. E. è un insegnante, un appassionato di musica, scrittura e temi femministi e queer.


A un certo punto della mia storia, dopo anni di inutile lotta contro me stesso, ho realizzato che la mia educazione cristiana, il cattolicesimo vissuto in famiglia e il mio aderire a certi valori mi avevano impedito di esplorare e vivere liberamente il mio orientamento sessuale e la mia identità di genere. 

Ne è seguito un lungo periodo di smarrimento, decostruzione e rabbia, che sto ancora smaltendo. All’improvviso non riesci a riconciliare quello che sei davvero con qualcosa che ti ha accompagnato per gran parte della tua vita, nel quale ti riconoscevi. 

Per le persone queer e cristiane, arriva sempre il momento di affrontare quello che la religione dice su di noi, e ci troviamo a dover scegliere cosa fare, se non vogliamo perdere la nostra verità più profonda. Andarsene dalla religione e sbattere la porta, oppure cercare di conciliare fede e identità. 

Sono molte le persone che se ne vanno, ma ce ne sono tante che invece sentono l’esigenza di restare. Io, a dire il vero, per il momento non so ancora a che categoria appartengo davvero e sto in uno strano equilibrio. Vorrei però offrire qualche spunto di riflessione su coloro che decidono di restare. 

Il mondo cristiano, in realtà, ha una pluralità di sguardi, idee e posizioni, riguardo le persone queer. Nel cattolicesimo, la confessione maggioritaria in Italia e quella che io conosco bene, per quanto esistano persone e realtà totalmente accoglienti, ufficialmente ci si attiene all’assunto “rispettiamo la persona ma non possiamo accettarne lo stile di vita”. Insomma, non è colpa tua se sei così, ma non puoi vivere pienamente quello che sei. 

Una posizione fintamente aperta e intrinsecamente crudele. 

E allora, una persona queer, perché dovrebbe restare in una religione che la svilisce e ne nega l’essenza? 

Ce lo chiedono spesso, e in genere con modalità ben poco rispettose. C’è quasi un gusto un po’ sadico, secondo me, in quelli che vengono a dirti che stai dalla parte del tuo oppressore, o che stai riscrivendo il cristianesimo a modo tuo. 

Proverò a dare alcune brevi risposte sul perché si resta. 

1. Chi obietta sull’esistenza di persone queer e cristiane probabilmente non sa bene cosa sia la fede. È un’inclinazione verso il trascendente. È il rapporto personale con il divino. È uno sguardo diverso sul mondo, il tempo, la storia e il loro destino. Magari a questo sguardo ci sei arrivato tramite una religione precisa, magari sono le parole di quel credo che ti ci hanno condotto, ma poi è diventato qualcosa di tuo. Non è così strano che sopravviva, anche quando subentrano critica, disincanto e rottura nei confronti della religione, e non è strano che si continui a nutrire la fede secondo i modi e le parole ci accompagnano da una vita. 

2. Le persone investono molto, sulla religione. Può darsi che una persona cristiana che abbandona la Chiesa perché vuole vivere liberamente una relazione omosessuale, oppure perché è trans e non ne può più di nasconderlo, non riesca semplicementea buttare via anni di religione come se niente fosse. Alcune persone ce la fanno, altre no. È una cosa profondamente umana, tentare di riparare, ricucire e ricostruire. 

3. Perché, invece di mandare a quel paese il cristianesimo e vivere come ci pare, ci intestardiamo di voler cambiare le chiese e la religione stessa? 

Perché anche se il cristianesimo non influenza più noi, continua a influenzare un grandissimo numero di persone. Magari io mi sono liberato da certe idee tossiche, certo, ma quante persone ancora credono a tutte quelle cose che hanno reso così difficile la strada per me? Persone giovanissime che scoprono di non essere etero e si disperano. Genitori ed educatori che, ignoranti e senza alcun aiuto competente, indirizzano i loro figli verso counseling spirituali o terapie psicologiche dannosi e disumani. Famiglie che buttano fuori di casa i loro parenti queer, tagliano i rapporti, creano il vuoto attorno. Gruppi e comunità che rifiutano i loro membri queer, o li accettano solo in cambio della rinuncia alla loro identità. 

Per questo non possiamo semplicemente andare via. Per questo la rabbia, la lotta e le voci alzate contro le discriminazioni in ambito religioso hanno senso. Forse le chiese non ci toccano più, ma toccano ancora troppe persone. 

Incaponirsi a ripensare un cristianesimo davvero accogliente e libero non è un’utopia sciocca né un mettersi dalla parte dell’oppressore, è una prospettiva interessante e, spero, non impossibile. 

Del resto non ci sono parole che legittimano il rifiuto delle persone queer, nel Vangelo. 

Un graffito in cui vi è Gesù e la scritta “Jesus loves queers”
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