Un sermone per il qui e ora di questo Yom Kippur 2020 – SLUM

Queste righe sono scritte da Maria Yael Savigni in occasione di questo Yom Kippur 2020, un momento religioso purtroppo in un’annata difficile. Buona lettura


Nessuno mi ha chiesto di scrivere un sermone. Probabilmente non vi piacerà nemmeno. Scrivo queste righe con l’ardita consolazione che, tutto sommato, la mia inadeguatezza non importa più di tanto: difficilmente leggerle sarà la cosa peggiore capitata quest’anno!


La tradizione ebraica ha molto da dire anche a chi ha un rapporto conflittuale con la divinità, e il cosiddetto “ordine costituito” (ma questo è più “l’ebraismo di Maria Yael Savigni”, quindi prendetelo con le pinze – se ho preso il nome ebraico di una guerriera donna invece di una brava madre di famiglia, del resto, qualche motivo ci sarà).

Ma per tutti, credenti e non, arriva un momento in cui tutti i nodi arrivano al pettine e diventa necessario ritagliarsi un angolo di autoconsapevolezza per mettere in fila le proprie priorità esistenziali. Questo momento per noi ebrei è Yom Kippur: da stasera fino al tramonto di domani, per 25 ore, ci asteniamo dal bere e dal mangiare, dall’utilizzo del telefono e da tutto quanto ci possa distrarre dal fare teshuvà (“ritorno” alle nostre priorità di vita) in una situazione, francamente, abbastanza allucinante perché 25 ore senza manco un carboidrato vi assicuro che paiono 25 anni.
Non mi sembra eccessivo dire, quindi, che il 2020 è stato in un certo senso il nostro Yom Kippur collettivo. Non avremmo mai immaginato di dover pregare contro le pandemie e invece ormai la nostra quotidianità è una mascherina chirurgica ed è impensabile fare piani a lungo termine. Dobbiamo ripensare completamente le nostre priorità, e di fronte a tutto questo molti di noi si sentono insignificanti.
La tradizione ebraica mette in guardia contro questo senso di impotenza. Il momento più partecipato di Kippur è la preghiera di Neilà, di chiusura: i cancelli del Cielo, aperti una volta l’anno per ascoltarci, si stanno chiudendo e le nostre voci corrono veloci come la mia Pandina davanti al passaggio a livello con la luce rossa, sperando di non rimetterci prima o poi il parabrezza sotto le sbarre. Non è mai tardi per agire, ma bisogna farlo prima che i danni della nostra IN-azione diventino insuperabili.
La Qabbalah ci presenta un mondo lontano dalla perfezione: il nostro universo è nato rotto perché la presenza divina vi si è ritratta e ritirandosi ha lacerato qualcosa. Il male è penetrato nel mondo in questo vuoto, in questa lacerazione. Le crepe sono oggi ancora più evidenti: morte, disastri climatici, ansia collettiva, povertà, dittature, malattie.
Il nostro obbligo, o per meglio dire il nostro esercizio spirituale e materiale a cui siamo tenuti ogni giorno è il tikkun olam, la riparazione delle crepe primordiali.

“Rabbi Tarfon disse: La giornata è corta e il lavoro tanto, i lavoratori sono svogliati e la ricompensa è grande, il Padrone di casa è impaziente. [Egli] usava anche dire: Non sta a te terminare l’opera, ma [questo] non ti libera da essa. Se hai studiato molto Torah, ti verrà data molta ricompensa. Fedele è il tuo datore di lavoro nel pagarti l’adeguata ricompensa del tuo lavoro; sappi che la ricompensa ai giusti è nell’era a venire.” (Pirke Avot 2:15-16).

La nostra esistenza è breve e i nostri sforzi insignificanti: “Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?” (Qo, 1:2).
Non essere mai presuntuoso, perché tutta la tua vita non è altro che un granello di polvere.
Sappi già che probabilmente dai tuoi sforzi di giustizia, di tikkun olam, non otterrai guadagno personale se non il sudore della tua fronte, e probabilmente neppure quello basterà.
Guardati anche a non cadere dalle trappole della fama e il potere, perché non sono nulla: non potrai portarli nel luogo dove andremo una volta tornati alla polvere. L’unica cosa che potrai portare con te è il sudore della tua fronte e delle tue mani.
Non avere la presunzione di riuscire a finire l’opera. Tutto ciò che sei e farai non è altro che una goccia.
Eppure, quella goccia ha già il sapore di redenzione collettiva, di era messianica.
Una redenzione che forse non vedrai nemmeno, perché la ricompensa dei giusti tarderà ad arrivare.

Yom Kippur ci riporta al momento presente, al qui e ora. Ci ammonisce su chi siamo e cosa abbiamo fatto l’anno appena trascorse, ma ci impone uno sforzo interiore ed esteriore di ricerca della giustizia.
Non sta a te completare l’opera, ma ciò non ti esime dal portarla avanti. Nella sua insignificanza, è già redenzione.

Tzom kal a chi digiunerà.
Buon Kippur.

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