“Giulia è Ottopolare” è il nuovo singolo di Vandėl e parliamo d’amore, trasformazione e salute mentale – SLUM

Giulia è Ottopolare” suona dalle casse del mio computer. I raggi del sole mi scaldano e mi rigano il viso mentre la canticchio. E’ online da pochissimo e ho indosso ancora dei vestiti leggeri, quest’agosto torrido non è ancora del tutto finito. “C’è il sole e non hai voglia / di vivere…”. E’ una dolce hit dell’estate e come tutte le hit rimane in testa, eppure non si tratta di una canzone d’amore con un lieto fine. Tre minuti morbidi pieni di ironica malinconia, tanto scorrevole che puoi memorizzarla senza far caso a quanto sia profonda finché non ti soffermi e ti piace ancora di più – è proprio Vandėl. 

Che a me mi piaci tanto / ma non ti conosco / lo so ma ti invito a pranzo / ti porto in un bel posto / tu mi dici forse / e poi dici no”…

Mi piace molto anche perché parla chiaramente della salute mentale e dell’amore. Temi molto importanti e che di rado vengono affrontati con sincerità.

La sto aspettando qua, la Vandėl, ché ho il piacere di ospitarla per questa intervista. “Vandėl” è il nome d’arte di Alessandra Van Del Gatto, una musicista poliedrica – prevalentemente una rapper e nella vita tatuatrice – nata a Livorno sotto il segno del Leone. Per gli amici “Vi”, per me “Ale” e per me Ale è un mood: nella vita e nella musica tutto dipende dal momento, “da come mi alzo la mattina”, da come cambia e la musica cambia con lei senza seguire percorsi già decisi. Vandėl spazia continuamente. 

“Giulia è Ottopolare” è il nuovo singolo di un nuovo progetto musicale da scoprire pezzo per pezzo. Questo autunno ci sarà meno sole e ci sarà più musica. 

Vandėl è arrivata, armata di una birra e di un gran sorriso. Due parole tra noi e arriviamo al dunque. Avvio il registratore.

Questa è una di quelle canzoni alla “Fuori dal Tunnel” di Caparezza. Intendo che mentre la senti hai le vibes e ci chilli sopra finché non la ascolti bene e ti rendi conto che è una canzone molto profonda. Si maschera da hit. Quando e come ti è venuta in mente?

In realtà era tanto tanto tempo che non avevo l’ispirazione per scrivere finché non conobbi una ragazza che mi sbloccò, mi riaprì i canali della scrittura. Non scrivevo dal 2019, mentre Giulia è Ottopolare è arrivata a inizio 2021. Sono stata 400 giorni senza scrivere. 


400 giorni?

Per la prima volta nella mia vita!


Dev’essere stata un’esperienza particolarmente forte.

Molto forte. Con un ritmo faticoso.


… è stata una relazione travagliata.

Non direi proprio una relazione, più una frequentazione. Relazione è troppo. E’ stata talmente breve che è breve anche il racconto, seppur sia stata una conoscenza intensa. Quando l’ho conosciuta abbiamo riso tantissimo, lei era divertente, disinvolta, interessante e eravamo molto entusiaste, non vedevamo l’ora di rivederci. Era nel periodo del post-lockdown e riuscivamo a vederci solo una volta a settimana. Ci vedevamo una volta settimana per non rendere tutto troppo precipitoso. Se il primo appuntamento fu splendido il secondo fu disastroso: la vado a prendere e, Sveva, non parla. Era scesa dall’altalena. 


“Ottopolare” nel titolo si riferisce al bipolarismo, a proposito di altalena. A cui fai riferimento quando ricorrono nel testo certi su e giù, come “dalle rose ai rovi”, i sì e i no, le risate e i silenzi…

Esatto. Il riferimento al bipolarismo, questo alternarsi di fasi di entusiasmo maniacale e la depressione più nera, è nato per via di un telefilm. Un’amica con cui mi ero confidata mi suggerì di guardare un episodio di “Modern Love”. Hai presente quella de Il diavolo veste Prada (Anne Hathaway, ndr)? Ecco, lei interpreta una ragazza bipolare il cui bipolarismo è in qualche modo difficile da gestire, specie nelle relazioni amorose. Quando ho visto Lexi ho rivisto Giulia. Era lei! Non mi spiegavo il perché e prima di vedere quest’episodio e capire mi sentivo un po’ spiazzata, non avendo prima d’ora avuto a che fare con una ragazza con un umore così inaspettatamente e continuamente oscillante. Mentre di narcisisti me ne intendo parecchio! mi dice ridendo 

Io e Vandėl abbiamo avuto delle pessime esperienze e quando parliamo di abuso narcisistico ci capiamo al volo. Ormai ne parliamo come si parla di figurine. 

Provo ad avvicinarmi all’argomento.


Prima di quel momento eri più abituata a essere “attaccata”, “sommersa”?

Sì! Lei invece era fantastica! Mi piaceva proprio per com’era, mi piacevano la sua essenza e la sua autenticità – oltre ai suoi blocchi e alle difficoltà. A volte saliva in macchina e sapevo subito che qualcosa non andava. La prima volta le chiesi se stava bene, non capivo, l’avevo vista solo una volta e il primo appuntamento era andato liscio. Si sbloccò piano piano. Ho saputo dopo che si era forzata a uscire nonostante l’umore sotto terra. La sentivo talmente fuori dal suo corpo che io uscivo dal mio, andavo col pilota automatico come fossi stata su Saturno. Non che mancasse la connessione, mancavamo noi.


“Mancavamo noi”. In che senso?

Io ero in una fase trasformativa della mia vita, non ero centrata neanche io. Era un periodo particolare per entrambe. Forse se ci fossimo incontrate qualche mese dopo sarebbe stato diverso, forse sbagliando mi sarei presa più cura di lei. Non riuscivo a farlo. Non ero in me, ero in una fase di metamorfosi e di ricostruzione. Ci vedevamo così sporadicamente che ogni volta mi sentivo un’altra.


E lei?

Lei era in un loop. 


Lo capisco. Un loop di parole? Mi riferisco al “Sei la mia metà / Bla bla bla bla bla bla

Lei mi diceva tantissime cose. E’ una ragazza super descrittiva, molto introspettiva, geniale. Ma non so se sospettasse di essere dentro a un disturbo di un certo tipo, non una “semplice” depressione. Non fraintedermi, non voglio azzardarmi a fare chissà quale diagnosi: mi dava l’idea che non accorgendosi dei grossi up che accompagnavano i suoi down non potesse rompere il loop.


Sai cosa? A volte quando ci siamo dentro pensiamo che debba andare così, un certo senso di predestinazione con cui pensiamo di andare avanti ma rimanendo statichə, senza evolverci per certi aspetti della vita. A volte mi rendo conto anch’io che la mia forma di bipolarismo non gestita diventi un freno, sembra paradossale se penso a tutta l’agitazione con cui passo dall’up al down e dal down all’up.

Esatto. E’ questo che credo abbia fatto sì che la paura prevaricasse il sentimento. Rimanere abituati a un loop di sofferenza genera tante paure: di soffrire, di far soffrire l’altro, dell’ignoto, della dipendenza affettiva e di superare il confine tra sano e tossico…


La prima cosa che mi viene in mente è “Inframondo”, una canzone del primo progetto di Vandėl uscita nel 2018. Parla della depressione, dei demoni interiori. L’intero racconto si muove sul filo sottile tra il dolore e la lucidità per narrarlo e uscirne.

Quando parli di confine penso al tuo pezzo “Inframondo”. C’è un inframondo in questa situazione?

Beh… per me è stato il senso di impotenza. Sono stata io ad allontanarmi. Ero instabile nella mia metamorfosi, oscillavo come un pendolo e mi resi conto di non poter essere il pilastro che poteva servire – e oscillavo anche in base a lei. Avrei voluto esserlo ma non riuscivo. Mi diceva di tante linee di confine che la facevano rimanere immobile e che le impedivano di delineare il “senso della vita”. Quello che rispondevo è che in realtà la vita è semplicemente vivere. Le mandai I miss you, la canzone di Björk.


Meravigliosa Björk.

Mi manchi e non ti conosco”. 


Anche Björk smette di aspettare. 

So già che arriverai, intanto smetto di aspettare” («I know by now that you’ll arrive / by the time I stop waiting»). 


Ci mettiamo a canticchiarla senza azzeccare un tempo. E’ una “canzone guida” quando parliamo d’amore. Björk sa già che si innamorerà, sa che verranno la persona e il momento giusto per amare. E decide di non insistere, né di aspettare alla finestra l’amatə: smette di attendere, fiduciosa.

Se qualcosa deve arrivare arriva! A proposito, tu a un certo punto dici “ma non ti inventare scuse / che se poi domani muori?” (e tutta la seconda strofa). Hai un po’ forzato le cose?

Ho provato a incoraggiarla, in qualche maniera… 


Ma a volte se qualcosa non viene spontanea non s’ha da fare.

Non s’aveva da fare. “Giulia ha già capito tutto / Se ne é andata da se stessa / Quando il mondo ha distrutto / Quando il mondo ha distrutto il suo”. All’inizio la canzone non si chiamava “Giulia è Ottopolare” ma “Giulia nell’Iperuranio”, quella dimensione in cui si rifugiava spesso lontano da tutti. 


Sta in mezzo a tanta gente / Che non capisce un cazzo”. 

Credo che le persone che gravitavano intorno a lei permettessero alla situazione di rimanere superficiale, ognuno nelle proprie stratosfere e non realmente in connessione l’uno con l’altro. 


La vedo sfregare tra le mani la bottiglia dorata di Corona che tintinna coi bracciali. Nella canzone Vandėl riesce a descrivere perfettamente i suoi sentimenti nel corso della frequentazione. Adesso che ne parliamo li stiamo articolando, elaborando. Ci diamo qualche attimo di silenzio per riflettere.

Mi fai pensare a un paio di cose. La prima è che l’amore non è abbastanza. La seconda è che non possiamo sempre partecipare alle lotte degli altri.

L’amore può unire se ti metti in moto anche tu.


Zygmunt Bauman diceva che l’amore va coltivato continuamente, va rigenerato 24/7.

Vorrei comprare il coraggio che non ho”. Non ho fatto molto più che starle vicino nei momenti più depressi. Sappiamo cosa vuol dire non riuscire a uscire dal letto…


Certo. Ecco, hai mai affrontato una situazione di fragilità con qualche similitudine e di cosa avresti avuto bisogno?

Cazzo, che domanda. Diciamo che… ho vissuto… ecco, più che fluttuare in un iperuranio ho scavato nei miei inframondi. Mi sono sentita in dei labirinti apparentemente infiniti, mi sono trovata a percorrere strade consapevole che l’uscita non ci fosse e a rifarle più di una volta. C’era una parte di me complice del mio inframondo. La similitudine che notavo tra me e lei è la consapevolezza di fondo: a volte sappiamo che certe strade rimangono sempre uguali e senza sbocco. Ci sono dei momenti della vita in cui non si è pronti, indipendentemente da tutto ciò che ci circonda. Si salvi chi vuole. C’è un bisogno importante di rispettare i propri tempi e quelli degli altri.


Posso chiederti cosa hai scoperto di te con quest’esperienza? Hai sfondato un “muro di superficie” per raggiungere una consapevolezza ulteriore?

Sì… sì, sì. Quello che mi ha fatto capire è questo: quando dico “se tu non esci allora apri e vengo io con te” parlo di cosa avrei fatto; anche se sono una persona molto perseverante e tenace non posso non tenere conto della reciprocità. Non quella del “dare-avere” freddo e capitalista, la reciprocità “energetica”. Ho scavato nell’amore per me stessa: se io avessi dato il 100% invece di dare un 50% per avere un 50% indietro, non sarei stata comunque in grado di renderla felice o di farci star bene entrambe. Io sono fatta per una, non per due. Essere giusta con me stessa poteva essere positivo anche per lei.


Scegliere il bene per noi stessi è una via per far bene anche agli altri, anche quando dobbiamo respingere qualcuno. Pensiamo sempre che “fare del bene” agli altri sia accogliere a oltranza ma non porta a molto. L’abbiamo imparata, dai.

Amo quest’analisi. Ci facciamo una risata e Vandėl deve scappare. Come sempre, ché non sta mai ferma e non la ferma nessuno.

Sveva Basirah

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