Questo pezzo è scritto in particolare (da e) per persone musulmane femministe/queer
Pride Mubarak!
Siamo nel mese del Pride e forse è in questo periodo, oltre a quello di Ramadan da poco passato, che molt3 musulman3 decidono di approfondire ancora di più la loro fede grazie agli spunti e alle tesi del femminismo islamico e della teologia di liberazione queer.
Non mancano le difficoltà (ovviamente). Non è sempre facile accedere gratuitamente – perché non tutt3 possiamo permetterci certe spese – ai libri, alla saggistica o agli speech di questə o quest’altrə studiosə; molt3 tra quest3 ultim3 mettono le proprie competenze e le proprie idee online a servizio delle comunità in modo gratuito o a basso prezzo, cercando di essere una voce alternativa all’enorme e insistente affluire di materiale “tradizionale” e conservatore diffuso solitamente da cishuettini musulmani per il mondo – ma anche da persone bianche spesso intrensicamente orientaliste. Var3 autodidatt3 e accademic3 musulman3 femminist3/queer si espongono anche per dimostrare la propria esistenza e che la possibilità della nostra intersezione e dei nostri studi non solo è fattibile, ma è persino rivoluzionaria.
Perché tanti sforzi? Come sappiamo e come si può intuire, il conservatorismo è martellante è molto, molto gaslightante (ci fa dubitare quindi della percezione che abbiamo di noi e della realtà). Ci viene detto e fatto capire per tutta la vita che il femminismo e la queerness sono velleità occidentali e l’irrigidimento delle comunità post-colonizzazione e colonizzate ci ha portato paradossalmente verso un’idea d’Islam univoco e monolitico sotto cui ripararsi dal paradigma cattolico-bianco-borghese-capitalista. Uscire dalla spirale dell’Islam considerato tradizionale – e ripeto che l’Occidente rinforza una visione dell’Islam rigida, pessima – ci sottopone a moltissime critiche da una parte e dall’altra: ci viene detto che siamo ipocrit3, ignorant3, che non sappiamo stare al mondo e… che abbiamo deciso di vedere dell’Islam solo quel che ci fa comodo e inventarci una religione nuova. Insomma, veniamo additat3 per “cherry picking”.
Cherry picking de che?
Il cherry picking si verifica quando ignoriamo alcune informazioni o considerazioni per convincere e convincerci di una tesi. In realtà, il cherry picking non è compatibile con l’esegesi femminista queer, essendo che questa si impegna nell’analisi profonda delle fonti e dei contesti storici, proprio perché è giusto non improvvisare e anzi cercare di conoscere le verità del Corano oltre alle sovrastrutture culturali maschiliste e omofobe delle società musulmane e colone. Molt3 studios3 rivoluzionari hanno dimostrato anche di aver acquisito gli stessi strumenti di codifica e interpretazione dell’Islam tradizionale ed essere comunque arrivat3 a soluzioni e approcci interpretativi diversi, come amina wadud (@the_lady_imam), pilastro del femminismo islamico, che negli anni ’90 si è formata in Egitto imparando la lingua araba, studi coranici e tafsir (esegesi) all’Università del Cairo e filosofia a Al-Azhar, Università associata all’omonima moschea e punto di riferimento ‘da sempre’ per tutta la Ummah (comunità musulmana). Purtroppo, molt3 sono considerati “non abbastanza”, un po’ per classismo – come se un fedele autodidatta di qualsiasi parte della terra non avesse potere sulle sue pratiche o l’effettiva possibilità di interpretare e adattare l’Islam come ritiene giusto (ijtihad)! – e un po’ perché il filtro delle autorità che proteggono lo status quo screma i sapienti divergenti dalla norma – non ci stupiamo quindi se un imam gay non diventerà mufti per le autorità vigenti!
Eppure, abbiamo veramente paura di fare cherry picking, e non solo per l’odiosa questione della legittimità a parlare di questo o quell’argomento. Il timore sopraggiunge quando il gaslighting si trasforma in auto-gaslighting, quando le voci più o meno autorevoli intorno a noi si incastrano nella nostra testa e diventano degli avvoltoi impalpabili sulle nostre spalle. Ci chiediamo, anche condizionat3 da tant3 altri abusi spirituali (e non solo) subiti: «ma sarò davvero unə buonə musulmanə?, anzi sarò musulmanə? E se le mie idee e la mia identità mi escludessero automaticamente dall’Islam? E se quello che sostengo esista solo perché non ci siamo rassegnat3 all’idea di essere nel torto, sbagliat3, pervers3, pigr3? Se stessi rigirando la frittata? Cosa penseranno di me, che fine farà la mia presenza nella comunità? Cosa penserà Dio di me? Dove finirò? E se Dio mi stesse solo mettendo alla prova, se non fossi all’altezza, se non mi stessi applicando e mi stessi nascondendo dietro a delle fantasie?»
L’effetto degli abusi delle nostre società è oggettivo e il nostro malessere, i nostri sensi di colpa e la confusione, ne sono i sintomi. Le persone queer musulmane devono smazzarsi un tanto al chilo di abusi spirituali omolesbobitransfobici dolorosissimi ed estremamente pervasivi. Sembra che le nostre interpretazioni femministe non vadano mai bene, che siano sempre una farsa, e di essere ridicol3 e “peccatric3” (“peccato”, un’altra parola esportata dal cattolicesimo tossico e conficcata nei nostri fianchi!).
Smontiamo l’accusa di cherry picking
Può essere utile, e forse confortante, sapere che l’accusa di cherry picking – comunque fosse chiamata e articolata prima che questa espressione entrasse recentemente nel linguaggio comune – torni ciclicamente a galla ogni volta che qualcunə introduce una nuova prospettiva sulla religione – insieme, ovviamente, a moltissime altre forme di svilimento e isolamento della persona stessa e dei suoi studi.
Discutevamo di questo Heliaha (@thatpagananarchist) ed io facendo riferimento ad Averroè – Heliaha è il fondatrociə del canale telegram Libreria Collettiva che a volte spammo nelle mie storie e produce saggistica filosofica e contenuti pazzeschi. Prendiamo ad esempio, in modo stringato, cosa accadde durante il corso del 1100 a ʾAbū al-Walīd Muḥammad ibn ʾAḥmad ibn Rušd, latinizzato Averroè, filosofo musulmano medievale – nonché medico, matematico, giurista – oggi preso a modello da musulman3 e non musulman3 (da quest3 ultim3, di solito, anche un po’ troppo glorificato come rappresentasse l’eccezione alla regola di un mondo musulmano brutto e cattivo, mentre nel mondo antico l3 musulman3 sono stat3 “la regola” della conoscenza, della filosofia e delle scienze!).
Averroè sosteneva che la filosofia e la religione fossero due realtà legittime, branche autonome e in grado di non solo coesistere, ma di influenzarsi positivamente tra loro. Introdusse il concetto per cui la filosofia possa essere uno strumento per indagare e spiegare il Corano, poiché con la ragione si giunge a Dio; se la fede non è consapevole, non è veramente fede!
Questi concetti sono stati validati e portati avanti nella storia, eppure all’inizio non fu tutto rose e fiori. Dalla Spagna andalusa arrivarono delle critiche molto aspre: la scuola islamica malikita che aveva prosperato nel califfato omayyade si inalberò e accusò il filosofo di “doppia verità” (critica mossa in realtà anche da Al Ghazali, con cui ci fu qualche scozzo), cioè di voler privilegiare la filosofia rispetto al Corano e di voler affermare i capricci della filosofia usando la versione dell’Islam che faceva più comodo. Perché tutta questa rigidità? Qualche secolo prima gli omayyadi furono calciorotati fuori dall’Arabia Saudita quando la dinastia abbaside subentrò nel corso del 700. Per legittimarsi e darsi un tono, gli omayyadi dissero di sé che non fossero graditi per la loro rettitudine e si fecero quindi portatori del “vero Islam”, rendendolo “puro” e pertanto irrigidendolo al massimo – cosa che in maniere diverse moltissimi popoli e figure hanno fatto anche negli ultimi decenni, appunto in reazione ai coloni occidentali e strategicamente, dai wahabiti al governo Erdogan, e in misura certo molto minore fanno le famiglie tradizionaliste (musulmane e non, parliamo di fenomeni specifici e umani) in giro per il mondo, specie davanti a cambiamenti importanti (la cultura che cambia, leggi che cambiano, immigrazione e così via).
Averroè, pacatissimo, scrisse allora il Trattato Decisivo, una fatwahttps://sonolunicamia.com/2019/12/23/un-glossario-di-termini-arabo-islamici-per-ogni-evenienza-slum/ (opinione legale emanata da una figura considerata autorevole) che giudicava che la filosofia non solo fosse permessa e incoraggiata, ma anche obbligatoria! D’altra parte, nel versetto 20:114 Muhammad (pbsdl) chiede «Allah, elevami nella conoscenza!»” – come dargli torto?
Succede spesso. C’è sempre un motivo dietro alla rigidità di qualcunə che accusa e svilisce, e non è di solito legato a una visione obiettiva della religione ma a questioni sociali, politiche e personali; e succede anche che chi viene accusatə poi “abbia ragione”, o meglio che trovi un largo riscontro successivamente. Questo sta accadendo anche con la teologia di liberazione, col femminismo islamico.
Tengo sempre a ricordare (anche per ricordarvi i nostri articoli, diciamocelo!) che questo avvenne per l’imam Tahir Al Haddad, come spiega l’insegnante Iman Hajj per sonolunicamia.com, il quale venne poi ripreso post mortem come “primo femminista tunisino” e i suoi studi sono stati valorizzati tanto da essere la base per le leggi pro-donne del primo ministro Bourguiba. Ad oggi la Tunisia è il paese più forte tra i paesi arabi musulmani nei diritti delle donne. Vorrà pur dire qualcosa!
Credo ci sia anche un altro aspetto da tenere in considerazione: nella storia della nostra teologia, e di qualsiasi altra teologia nel mondo, il cherry picking è sempre stato più che comune e considerato normale qualora rispettasse la norma patriarcale costituita. Vi porto ad esempio quanto spiegato dalla dottoressa Shehnaz del progetto What the patriarchy?!, di cui abbiamo tradotto e tradurremo per il sito, riguardo le mestruazioni, la preghiera e il digiuno: di solito chi ha avuto il privilegio di poter legiferare e dare la propria opinione teologica su questi temi, uomini cis, ha addirittura evitato di trarre le proprie conclusioni dal Corano, Shehnaz dice infatti «[…] ho pensato molto a come gli studiosi musulmani che hanno inventato tutte queste regole sulle mestruazioni e hanno sindacato su ciò che è puro e impuro abbiano carpito quello che sanno basicamente sulle mestruazioni e tutti quei dettagli tecnici delle mestruazioni che vedremo. Non hanno saputo o tratto niente dal Corano. Il Corano non dice mai che non possiamo pregare o digiunare durante il nostro ciclo».
In più di un caso si sono fatte delle preferenze tendenziosissime sulle interpretazioni, anzi sono state sempre fatte di continuo e sfacciatamente! Moltissim3 studios3 – e cito in questo caso l’articolo di Asma Barlas – per fare ancora un’esemplificazione, evidenziano la scelta di traduzioni orripilanti davanti a delle alternative evidenti, come la scelta di intendere nel versetto 34 della sura An-Nisa la parola “d-r-b” come “battere” invece di “allontanare”, “separarsi” e “andare via”, e la stessa parola “battere” nel senso di “picchiare” e non di “vincere” (un gioco, una discussione…). Quel che ne viene fuori, nel contesto di discordie coniugali, è riferendosi alle donne «lasciatele sole nei loro letti e battetele» al posto di «allontanatevene». Inoltre, vengono ignorati hadith in cui si predica di non alzare un dito contro le donne o che spiegano ulteriormente il versetto (aya), quando gli hadith (narrazioni sul Profeta e la prima comunità musulmana) vengono costantemente magnificati a piacimento dell’interprete nonostante siano la fonte più insicura e vaga dell’Islam. Potremmo osservare le stesse dinamiche quando si parla di velo, di regole coniugali, di sessualità, dell’età di Aisha, di questioni LGBT+… di tutto!
Guardacaso, certe preferenze che non hanno mai privilegiato la teoria di un’etica islamica pro-donne, pro-queer, femminista, «progressiva» (vedi Al Haddad) e progressista, o anche anticlassista e via discorrendo. Piuttosto, il cherry picking è sempre stato strategico e funzionale al mantenimento di strutture culturali e teologiche oppressive contro le marginalità. E guardacaso, molt3 dei cherry picker seriali vanno cianciando di un “Islam puro e chiarissimo” a cui rifarsi – il loro! È ora evidente che l’accusa è una proiezione del proprio problema sull’altrə, sul “diversə” e il divergente, su chi mette in crisi quel che sapevamo fino a ora e l’autorità. Una forma di gaslighting, appunto.
Cherry picking come abuso spirituale
C’è un’altra considerazione da fare sul cherry picking. Non sempre le interpretazioni, chiaramente, sono cherry picking: come modi di leggere il testo e tra le righe, le interpretazioni sono ovviamente molteplici e i modi di intendere l’Islam sono tanti; come ribadiscono personaggi anche molto diversi (dallo scholar non propriamente femminista ma decoloniale Ahmed Shahab all’imam gay di Marsiglia Ludovic Mohamed Zahed, @ludovicmohamed) esistono molti Islam, non uno soltanto – è esplicitamente solo la shahada (testimonianza di fede) a determinare il nostro essere musulman3, non abbiamo una dottrina universalmente condivisa né tramiti con Dio, e come mi piace ripetere, ogni nostro “corpo religioso” è un’unica e inimitabile manifestazione incarnata del nostro legame con Dio e l’Islam – e ne consegue che le sensibilità e gli approcci alla nostra religione siano molteplici e vari.
Quando, invece, si tratta proprio di cherry picking dobbiamo aprire una parentesi doverosa: ogni strumentalizzazione dell’Islam a danno delle persone marginalizzate e discriminate, fragilizzate e inferiorizzate, è un abuso spirituale. Nel novembre 2020 abbiamo parlato traducendo e commentando il lavoro della dottoressa Anjabeen Ashraf (@dranjabeenashraf) della natura degli abusi spirituali: abuso spirituale è l’uso della Scrittura per mortificare qualcunə, per legittimare comportamenti abusanti e sovradeterminanti, per umiliare e ridicolizzare chi la pensa in modo diverso, per impedire a qualcunə di vivere la propria identità religiosa e le proprie pratiche, per decentrare i bisogni delle persone a favore di chi detiene dei privilegi o una posizione di superiorità a livello sociale, familiare ecc.
Va da sé che il cherry picking possa essere a tutti gli effetti un abuso spirituale, nel momento in cui scelgo di privilegiare interpretazioni in qualche modo violente verso delle soggettività discriminate. Si tratta di interpretazioni o di rigurgiti prosaici e eleganti di scholar misogin3 e omolesbobitransfobic3? Esegesi intellettualmente oneste o viziate dalle dinamiche di potere? Mi viene da dire, come scrissi tempo fa, riconoscendo un abuso spirituale non si possa neanche allestire la giustificante “ci sono molte interpretazioni e sono tutte valide”, poiché per non essere abusanti non dovremmo validare gli abusi stessi.
Si capisce anche che accusare di cherry picking possa essere un tentativo di scaricare le proprie responsabilità di abuso su chi lo subisce.
Ora, al netto di tutto questo: quando pensiamo di noi certe cattiverie sul nostro conto, non è forse il nostro trauma a riprodurre delle dinamiche tremende dalle nostre comunità? Di cui, voglio sottolineare, sono responsabili anche persone white o convertite.
Il trauma ci riattiva la modalità sopravvivenza e l’autogaslighting, ma non dobbiamo credere a tutto quello che dice: possiamo riscattarci come persone queer e femministe religiose, possiamo avviare un percorso di healing in cui possiamo fare molto, come prenderci cura di noi, decostruirci e ricostruire una comunità accogliente.
In questo percorso di guarigione possiamo includere senz’altro il femminismo islamico, che essendo un movimento di doppia decolonizzazione dell’Islam e dei corpi religiosi – dall’invasione occidentale e dai patriarcati interni alle comunità – è un sostegno nel risollevarsi dall’abuso spirituale. Sì, la teologia di liberazione decolonizza dall’abuso spirituale: altro che cherry picking, ci stiamo impegnando a andare a fondo ai testi quanto a raccogliere la nostra anima; mentre gli altri predicano il purismo, noi possiamo abbracciare la radicalità e scoprire che se davvero tornassimo alle origini, del nostro corpo religioso e dell’Islam dalla prospettiva da cui lo vediamo, potremmo fare dei grossi passi avanti!
Cito dal talk di Samina Ali sul velo (@samina.ali_):
«A me sembra che se i fondamentalisti volessero tornare all’anno 680 DC, potrebbe essere un grosso passo avanti. Un progresso!»
Sveva Basirah Balzini
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