La storia di rabbia di Lila è una riflessione spirituale e racchiude in sé tutta l’energia della ricerca della giustizia. Dicendo solo la verità.
La ringraziamo, anche per la splendida copertina da lei stessa realizzata. Buona lettura.
Sono arrabbiata. Sono piena di rabbia. Ma la mia rabbia è sacra.
Come minoranza non mi è permesso provare ed esternare rabbia verso il sistema, verso alcune persone che mi circondano, persino verso me stessa. Se sono arrabbiata significa che sono fuori controllo e se sono fuori controllo sono una pazza, una isterica che non va nemmeno presa sul serio. Come faccio a trovare la pace se la mia agitazione non viene neanche presa sul serio?
Sapete, il Ramadan credo sia il periodo migliore per riflettere sulla sacralità delle emozioni. In questo caso parlo di rabbia, ma si può estendere a tutte le emozioni.
Il concetto di rabbia, il sentimento di rabbia, è qualcosa di naturale, istintivo, puro. È un prodotto della nostra anima ed è qualcosa che se non esprimi troverà sempre il modo di manifestarsi, che sia sotto forma di senso di colpa, dissociazione, stress, disturbi fisici, depressione, pensieri suicidi e chi più ne ha più ne metta. Non esprimere la propria rabbia è malsano, non esprimere la propria rabbia è violenza verso noi stessi, significa dimenticare che siamo carne, viscere, sangue, merda, unghie, che siamo animali. Dimenticarsene non porterà certo all’elevarsi dell’anima, perché se fosse così Allah (swt) ci avrebbe creati palle di luce e le palle di luce certo non devono cagare, fare la spesa e i colloqui di lavoro, per quel poco che ne sappiamo.
Ma la vostra rabbia, quella che sentite verso chi non valida chi siete e cosa volete portare al mondo, la rabbia verso lo Stato che vi sottrae i soldi e la voglia di vivere, la rabbia verso il sistema sanitario che non vi tutela, la rabbia verso la polizia, la rabbia verso l’università, la rabbia verso amici che vi chiedono, dopo anni, “quindi nemmeno l’acqua?”… ecco, questa rabbia è sacra.
La rabbia verso chi era incaricato di insegnarvi l’Islam e vi ha solo insegnato a odiarvi, calpestarvi, sopprimervi, e poi odiare, calpestare, sopprimere. Questa rabbia è sacra. Questa vostra rabbia io la vedo ed è a questa rabbia che mi appello per onorarci in quanto creature di Allah.
Le nostre emozioni sono il canale principale di contatto con Allah. Digiunando, nonostante tutti gli impegni pratici della vita, la nostra fonte principale di nutrimento sono le energie che ci circondano. Siamo l’asso di coppe, durante questo mese: una coppa piena in cui viene costantemente versata altra acqua. Siamo contenitori traboccanti, che prendono e restituiscono. Accorgersi di essere arrabbiati, fermarsi a riflettere sul perché, sul chi, sul cosa, significa validare l’esperienza che la nostra anima sta facendo in questo mondo.
Accettare di essere arrabbiati è il primo passo per prevenire la violenza. La violenza quella indiscriminata, perpetrata verso innocenti. Specifico perché sono convinta che la violenza verso i propri aguzzini, abuser, sistemi oppressivi, colonizzatori e quant’altro non sia violenza ma difesa della propria persona.
Ebbene, onorare la propria rabbia significa darle uno spazio per manifestarsi, uno che non sia né troppo piccolo né troppo grande, uno che rispetti la propria individualità e quella dei propri cari. Ci sono volte in cui siamo impossibilitati a manifestare la rabbia, per motivi di sicurezza personale o per mille altri motivi. Poter manifestare la propria rabbia è un privilegio, esattamente come curarsi, perché questa società ha una immensa fobia della bestialità, del nostro essere animali, dei nostri bisogni più viscerali, della fragilità dell’essere umano. Lo Stato oppressivo non si ricorda che siamo bestie? Elevazione a qualcosa al di sopra degli animali significa non avere bisogni? O lavorare per guadagnare, senza avere altri bisogni? L’unico bisogno dovrebbe davvero essere il fatturato? Questo significa essere umani e non animali?
Il Ramadan ci ricorda che siamo animali e che quando abbiamo fame e sete mangiamo e beviamo. Ci ricorda che se siamo arrabbiati urliamo, che se siamo tristi piangiamo, che se siamo felici ridiamo. Ci ricorda che siamo carne che avvolge lo spirito.
Ma il Ramadan ci ricorda anche che siamo spirito nella carne, emotività pura, e che questo spirito si nutre di energia. Vivere questo mese circondati da belle persone, bei paesaggi, buona aria, buon cibo, belle vibrazioni, non dovrebbe essere un privilegio ma un fottuto diritto di ogni persona musulmana, questioning, sincretica e così via.
Provare rabbia per un diritto in meno è legittimo ed è questo che io considero sacro, non provare a reprimere le proprie emozioni in nome di una serenità performativa. L’intelletto è l’apparato grazie al quale immaginiamo Allah, ma le emozioni sono il mezzo attraverso cui riusciamo a percepire il divino, ad avvicinarci alla luce anche se nostri corpi proiettano ombre.
Voglio accettare, oggi, che la mia ombra sia creazione di Allah. Voglio performare la verità.
Voglio performare la giustizia, poiché Allah è giustizia.

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