moschea al-kawthar

«La diversità delle culture, delle tradizioni e delle storie coinvolte nel modo in cui le persone comprendono il significato dell’Islam è la bellezza nascosta che mantiene vivo l’Islam»

amina wadud, 2021

Come comunità, negli ultimi mesi abbiamo discusso a lungo di quanto le nostre spiritualità, religiosità e identità siano marginalizzate, non previste o del tutto escluse dagli spazi di preghiera. Traumi religiosi e abusi spirituali segnano la nostra quotidianità e la nostra storia, in luoghi fisici e virtuali ormai irrigiditi dall’islamofobia locale, ancor più conservatori a causa dell’influenza wahabita e salafita nei contesti musulmani. Si fa molta fatica ad uscire dalle immagini monolitiche e dalle pretese dei patriarcati da una parte e dall’altra, dalle aspettative delle nostre comunità e dalle costanti umiliazioni e richieste di assimilazione dello stato capitalista. In uno stato cattolico e autoritario che sminuzza e appiattisce tutto e tuttə: dialetti, identità culturali, storie di contaminazione e esperienze di vita “incodificabili”. 

Inoltre, in Italia alcuni musulmani parlano di “Islam moderato”, si è avuta notizia di qualche figura femminile di spicco tokenizzata come “musulmana progressista” e tuttavia non è contemplata la semplice esistenza del femminismo islamico e dellə femministə islamichə, queer, questioning e di identità di persone musulmane disabili, neurodivergenti e divergenti in generale da ogni comodo riassunto di identità musulmane e razzializzate.

Le stesse comunità musulmane spingono a una religiosità che permetta di inserirsi pienamente nel modello neoliberista egemone e allo stesso tempo di non ridiscutere il binarismo e i ruoli di genere, mantenendo un privilegio maschile e di classe, mentre le minoranze di genere (donne, persone LGBT+, queer…) dovrebbero farsi carico di prescrizioni religiose sempre più individualizzate e monetizzate e della propria inclusione nel sistema capitalistico razzista e islamofobo. Diviene responsabilità dellə fedele portare il velo, fare invocazioni e preghiere per la propria salute, salvezza e benessere, mentre le comunità non lottano contro una situazione di diseguaglianza radicale, scaricandone la responsabilità sugli individui più marginalizzati.

Per noi l’Islam è una religione rivoluzionaria di cui le persone alle origini avevano bisogno, che non può quindi esistere senza la necessità di rivoluzione. Una religione fatta per elevarsi e “travalicare” la tradizione per raggiungere Dio e se stessə. Dinamica, poiché i suoi principi sono costruiti progressivamente e perché l’Islam può essere adattato ai cambiamenti sociali (Al Haddad, Iman Hajj 2018). Se così non fosse, l’Islam non sarebbe potuto entrare nel cuore di migliaia di persone. Pensiamo quindi che la religione vada vissuta per quello che è e ci si sente di fare, non per quello che è convenientemente a famiglie, società e tradizioni patriarcali concepito, o venduto, come religione. L’Islam è per noi una dimensione spirituale safe perché ci abbraccia e ci solleva al tempo stesso, non ci lascia né immobili né solə. Crediamo che l’Islam sia fatto per essere vissuto da ogni soggettività nel proprio stile e che non esista Islam non valido se si parte dalle basi etiche, politiche e di rispetto di comunità contenute nel suo messaggio. Cristallizzare in tradizioni culturali e uniformare al sistema del capitalismo razziale (Gilmore) dominante una religione nata nella rivoluzione rischia al contrario di farla morire.

A livello nazionale e mondiale pare non ci sia spazio per questo, tanto sembriamo incastratə tra islamofobia e conservatorismo. Che cosa abbiamo in Italia per vivere la nostra fede in modo individuale e collettivo quanto sereno e libero? Quali strumenti per sostenerci, conoscerci e collegarci? Esiste ben poco per noi. Non sarà un fortuito capannone o un edificio classificato come “centro islamico” e usato come moschea, benché effettivamente alcuni siano più aperti di altri, a curare le nostre ferite e a darci un luogo in cui muoverci come outcasts, un modo di poterci guardare e dire “io esisto” o creare una rete d’aiuto. Troviamo solo nei contenuti online e nelle comunità estere un briciolo di quello che vorremmo trovare e sperimentare, sulla saggistica anglofona e francofona o sulle piattaforme come TikTok magari, nelle solidali moschee inclusive di Toronto, Marsiglia, Berlino o Copenaghen, nelle rassicuranti figure di imamə, attivistə e esegetə femministə queer di ieri e di oggi come Fatema Mernissi, amina wadud, Ludovic Mohamed Zahed, Farouk El-Khaki e chi più ne ha più ne metta. Se da una parte possiamo prendere ispirazione (e consulenze!) dai percorsi altrui, d’altro canto rischiamo di fare dei solitari copia-incolla azzardati delle teorie e delle mosse politiche e sociali dellə nostrə compagnə per il mondo o smettere di dedicarci col cuore alla teologia.

Non vogliamo ricadere nello schema dellə musulmanə “buonə”, “progressistə” e “moderatə”, critichə “contro tutti gli -ismi” e “integratə” in una società coloniale che ha distrutto per secoli le nostre possibilità di esistenza. Non vogliamo abbracciare una filosofia liberale di “laicità” e “tolleranza”, ma recuperare l'”etica del disaccordo” inerente all’Islam (Abdou, 2022) per strutturare un percorso anarchico di cura tra di noi, con lə non-musulmanə e con gli esseri che ci circondano e abitano questa terra.

Abbiamo pensato a quale potesse essere un modo di condividere la nostra fede liberamente ispirandoci ai nostri ideali di partenza e aprendoci alle novità, ed il primo progetto proiettato verso l’esterno su cui abbiamo iniziato a lavorare è quello della Moschea Al Kawhtar.

La Moschea Al Kawhtar si avvicina alla moschea che vorremmo. Un luogo online di non giudizio, di accoglienza e in cui poterci abbandonare e persino pensare, per un attimo, che la teologia di liberazione sia la normalità.

Ci riuniremo una volta a settimana per momenti di preghiera e di autocoscienza facilitata a settimane alterne. Per ora siamo poche persone e l’accesso è ristretto: vogliamo mantenere questo spazio il più safer possibile, al riparo da dinamiche di potere e ospiti indesiderati che potrebbero risultare oppressivi nei confronti delle persone già presenti, spesso survivor di traumi religiosi. Purtroppo o per fortuna, ci manterremo online: siamo consapevoli del fatto che una dimensione fisica sarebbe più auspicabile per moltə, tuttavia siamo tantə e da tutte le parti e ci auguriamo che riunirci su una piattaforma virtuale può col tempo essere sentita come un’esperienza sempre più tangibile o addirittura dare adito a incontri offline di chi si ritrova vicino a qualcunə altrə.

La moschea è aperta a persone musulmane concordi con i nostri valori, non importa quanto e come esse pratichino la religione, né se siano questioning; apriamo le porte anche a persone religiose o spirituali femministe di altri culti o persone atee e agnostiche alleate. Faremo quanto possibile per rendere lo spazio il più inclusivo possibile, facilitando la partecipazione di ognunə e proponendo uno spazio senza ruoli o unə imamə fissə e gerarchie, partendo dalla consapevolezza che ogni spazio sicuro va costruito con una comunione di sforzi e di intenti.

“Al Kawhtar” signifca Abbondanza ed è la sura 108 del Sacro Corano, composta da solo tre versetti:

«1 Sì, Noi ti abbiamo concesso l’abbondanza. 2 Prega dunque lə Signorə e sacrifica! 3 Colui che ti odia sarà âbtar (*senza discendenza)»

E quando noi femministe islamiche parliamo di discendenza, parliamo di ciò che creiamo in abbondanza e lasciamo con la cura e la lotta comune che pratichiamo.

Sperando che questo Ramadan 2023/1444 ci faciliti e ci benedica, dichiariamo aperta la Moschea di Sono l’unica mia.


Per contattarci, la nostra email: sonolunicamia@outlook.it

Il patriarcato è fitna! Girls at Dhabas #AuratMarch2018

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