Il mio Egitto, il terrorismo di nessuno – SLUM

Nonostante mi fossi imposta di non avere paura, inevitabilmente un brivido mi ha percorso la schiena quando leggendo le notizie, ho trovato in prima pagina l’Egitto, ancora una volta al centro della cronaca il mio Egitto: oltre 300 morti e più di 100 feriti, questo è il resoconto fisico del terrore che ha preso in ostaggio la moschea Sufi (corrente mistica e ascetica dell’Islam) Al – Rawda di Bir Al – Abed venerdì 24 Novembre.

Il brivido continua a essere sempre più intenso, mentre prendo un sospiro e penso a ciò che il terrorismo, quell’oggetto o soggetto da sempre senza identità, vuole prendersi dalla terra dei faraoni; come se non fosse già abbastanza l’oppressione sociale, la crisi economica e istituzionale, il desiderio di libertà schiacciato dalla militarizzazione estrema del paese che dal 2011 ad oggi continua a crescere. Prendo un sospiro e penso a quei quattro furgoni attorno alla moschea, agli attentatori che sparano alla folla che scappa dalle bombe, al kamikaze; il brivido continua, ormai è un brivido malinconico. Penso alla Libia che ospita sempre più campi di addestramento jihadisti, alle bandiere dello Stato Islamico con la convinzione che di “islamico” non abbia alcuna caratteristica, penso che le dinamiche e le motivazioni rimangano molto vaghe, e il tentativo di ricostruzione dei fatti continuano.

La risposta del capo del governo egiziano Al – Sisi è la stessa che diede nell’agosto del 2014, quando per caso mi trovai a Marsa Matruh al confine della Libia ed emerse l’uccisione di qualche decina di egiziani da parte del gruppo jihadista ABM (Ansar Bayt al – Maqdis o Champions of Gerusalemme) a poche centinaia di km da me e dal filo spinato che circondava le spiagge e i carri armati militari che erano sempre pronti ed in allerta per ogni evenienza. Infatti, alle 17 di venerdì, come le stesse ore circa di quella calda giornata di fine agosto, il premier ha risposto con la filosofia del “occhio per occhio e dente per dente” uccidendo gli attentatori. A questo punto il brivido si scalda di rabbia mista a delusione, pensando alla penisola del Sinai e le sue terre incantate vengano distrutte per la seconda volta dalla stessa tattica sbagliata: qual è cercare di spegnere il fuoco con il fuoco senza estintori, senza nulla che spenga il grosso vero fuoco generale: dopo l’attentato di ABM Al – Sisi allertò tutta la penisola del Sinai creando ulteriore terrorismo mentale attraverso attacchi a presunte basi militari jihadiste senza però avere quasi mai nessuna certezza, che non ha fatto null’altro che alimentare gli stessi ABM che fino allora erano quasi sconosciuti, ma che in questo modo si sono potuti appropriare, grazie al terrore cosparso dal governo, delle tribù beduine del posto militarizzandole e alleandole rendendosi sempre più potenti.

Il brivido scompare e sospiro, perché è ormai inutile piangere sul latte versato, ma penso che questa è la storia del mio Egitto, ma che non è solo la sua, ma che è la storia della Siria, della Libia, e anche del Bataclan, di Barcellona, di Londra e così potrei continuare all’infinito, senza distinzioni di credo, gruppi etnici, colore della pelle o nazionalità. Il terrorismo continua a essere il “nessuno” della nostra era, qualcosa in cui nessuno, appunto, è in grado di identificarsi perché disumano, ma che continua ad avere la presunzione di avere una popolazione di vittime, tra morti, feriti e persone spaventate da esso, comprendente il 95% della popolazione.

Continuo a prendere fiato e pensare che la paura è un nostro sentimento; siamo noi che lo proviamo e non viceversa, e spesso e volentieri le nostre paure cerchiamo di affrontarle, non di conviverci: è un meccanismo umano che ci permette di sopravvivere, e metaforicamente parlando, nascondersi serve solo a farci rapire dalla paura, non ad abbatterla faccia a faccia, questo significa che più si ha paura e odio dei personaggi in cui si identifica “nessuno”, ovvero dei musulmani o di ciò che si percepisce diverso in generale più si farà forte e radicata l’inconsapevole accettazione della morte e dell’uccisione per volere comune. Ora il brivido è tornato, ma stavolta è il brivido di speranza. All’inizio ho avuto paura delle conseguenze, come sempre, ma poi cambia e ora, come sempre, si sublima nello stesso brivido dei manifestanti che il 25 gennaio 2011 erano in piazza Tahrir mossi dall’inebriante profumo libertà di poter essere, di poter vivere, e pregare senza paura.

Munira

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