Sì, le vignette di Charlie Hebdo insultano davvero lu musulmanu – SLUM

Questo articolo è stato scritto raccogliendo il sentire e le argomentazioni delle persone musulmane, incluse utenze di SLUM. La principale argomentazione riguarda le vignette di Charlie Hebdo, non osando addentrarsi nei contenuti “scritti” del giornale francese altrettanto islamofobi. L’autrice è Sveva Basirah Balzini.


“Ouuuh! Le Prophète!”

Lo dice il presidente turco alzando la lunga veste di una donna velata, almeno in una nuovissima vignetta di Charlie Hebdo che lo “svergogna” in prima pagina. “Erdoğan nel privato è molto simpatico” scrive ironicamente il periodico (sedicente) satirico francese, forse in un raro attimo di lucidità politica, cavalcando una discussione sulla libertà d’espressione tra il soggetto e Emmanuel Macron. I due si guardavano già in cagnesco e questa è stata proprio la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ovvero la scusa perché dal vertice della Turchia arrivasse un invito di boicottaggio dei prodotti francesi a tutta la comunità musulmana.

Erdoğan, come al solito, ha cercato di decentrare il dibattito strumentalizzando l’Islam. Un po’ alla maniera di Israele quando si dichiara stato ebraico cercando di cancellare il confine tra sionismo e ebraismo, il sultano fa di un attacco politico una questione di religione asserendo che Charlie Hebdo non abbia ridicolizzato la sua persona ma l’Islam intero e Muhammad (pbsdl) – confermandosi subdolamente, peraltro, come aspirante e illegittimo califfo della Ummah mondiale.

La vignetta incriminata

Non si può dire che per tuttu lu musulmanu la vignetta su Erdoğan sia “una vignetta sul Profeta”, né che lui stesso meriti altro che derisione; nonostante questo una ampissima parte della Ummah ha cominciato il boicottaggio o lo ha preso in considerazione. I motivi della protesta vanno ben oltre la singola vignetta in questione e trovano motivazioni molto più profonde e largamente condivisibili.

Il trucco della Francia islamofoba

Per prendere ad esempio una piattaforma creata dalle e per le persone musulmane e molto seguita sui social (quasi 413mila follower su Facebook e quasi 60mila su Instagram), vediamo Mvslim. Scorrendo la home di Instagram ho trovato un post in cui elencava i motivi principali del boicottaggio, quali l’avversione francese per il burkini, la messa al bando dei vestiti religiosi nelle scuole superiori e per i dipendenti pubblici e l’abitudine di riportare gli attacchi dellu musulmanu ma non su lu musulmanu. Nonché le caricature del Profeta.

Le cause della rabbia e dello sconcerto dellu musulmanu sono massivamente legate al laicismo francese, ovvero ai comportamenti della Francia – a livello legale e propagandistico – islamofobi e/o antimusulmani [1] (a loro volta interconnessi a razzismo, xenofobia e sentimenti colonialisti).

I femminismi francesi e le associazioni di musulmanu contro l’islamofobia hanno per primi protestato contro le limitazioni delle libertà personali imposte con la giustificazione del “laicismo”. Il divieto di abiti che possano “ricordare” una religione non è altro che un provvedimento mirato a spogliare le donne musulmane (in particolare) di gonne lunghe e hijab. Nell’aprile 2015 fece scalpore la notizia circa la ragazza musulmana di 15 anni che fu allontanata da scuola perché la sua gonna era troppo lunga, una metratura considerata “una provocazione” e legalmente un “segno religioso ostentatorio”. Ricorderemo, poi, le proteste contro i divieti del burkini in alcune zone del territorio francese, emanati con varie ordinanze municipali, e l’avversione politica per questo indumento considerato “poco laico” sebbene destinato alle piscine e alle spiagge.

E’ chiaro come il sole: la Francia nutre un’avversione viscerale per le persone musulmane e prova a colpirle in qualsiasi modo possibile. Una volta appellandosi all’inviolabilità del laicismo, una volta all’intangibile diritto alla libertà d’espressione. Di fatto, dichiarando sacrosanto qualsiasi mezzo che permetta di colpire duro la comunità musulmana.

E’ un bel trucchetto e pare che, in questo gioco, porti noi musulmanu drittu allo 0-1. Come puoi ribattere a qualcosa che è “intoccabile” anche se ti danneggia?

Ed è un trucchetto ormai vecchio e stantio. La società patriarcale (e colonialista) lo ha usato per secoli, decidendo cosa fosse fondamentale e inviolabile e cosa no. Nell’ottica della discriminazione e della violenza di genere è stato un must: se a decidere cosa sia “sacro” e inopinabile è la parte privilegiata della popolazione, è chiaro che le donne siano sempre state quelle a rimetterci e a non poter mettere in discussione i principi irraggiungibili e autoproclamati dagli uomini.

Potremmo citare le istanze pro-life sull’importanza della “vita”, che le assassine che abortiscono non possono capire. D’altronde, “se gli uomini potessero rimanere incinti, l’aborto sarebbe un sacramento”, disse Florence Kennedy [2]; visto che non è così, i patriarchi hanno dovuto far della “vita” di un feto un sacramento per poter criticare (e togliere) meglio alle donne i loro diritti sessuali e riproduttivi. Se sono vili infanticide, perché dar loro filo?

E’ un meccanismo di contrappesi che è il colono, il suprematista, il padre di famiglia, il Maestro a gestire a seconda di come gli torna comodo. L’obiettivo è quello di elevare il mezzo che protegge il suo status quo e con cui continua a perpetrare la discriminazione, l’invisibilizzazione e la svalutazione della parte lesa, in modo che quest’ultima non possa ribattere se non passando per incivile e barbarica (non a caso il boicottaggio sopracitato è stato chiamato spesso sull’Internet “atto violento”).

Lo ricorda anche Solanas nel suo SCUM Manifesto (1967) quando parla, per dirne una, della “Grande Arte”.

La “Grande Arte” prova che gli uomini sono superiori alle donne, cioè che gli uomini sono donne, dato che viene etichettato come “Grande Arte”, come gli antifemministi amano ricordarci, quasi tutto ciò che è stato creato dagli uomini. Sappiamo che la “Grande Arte” è grande perché così ci hanno detto le autorità maschili, e noi non possiamo contraddirle, perché ci vuole una sensibilità squisita, molto superiore alla nostra, per discernere e apprezzare le porcherie che apprezzano.

Allo stesso modo in cui le donne non hanno potuto capire per una “predisposizione naturale” l’importanza delle istituzioni maschili, le persone musulmane sembrano non poter concepire la sacralità dei valori occidentali (francesi, in questo caso), anche qualora le escludano, le marginalizzino o le insultino.

Le oppressioni si legano tra loro per via di meccanismi simili e di una comune forma mentis di sovradeterminazione – base di ogni dinamica di potere. Potremmo dire che è proprio il colonialismo a prender mille forme e sfumature, trasformandosi nella sopraffazione sistemica di popoli, corpi e identità.

La satira non è intoccabile

Un esempio lampante del meccanismo di cui parlo è quello della satira.

Si continua incessantemente a sostenere l’importanza del diritto alla blasfemia e alla satira religiosa. Moltu musulmanu continuano a ribadire che la “satira” di Charlie Hebdo sia in realtà un grave attacco alle comunità musulmane, eppure pare che queste voci non scalfiscano affatto le granitiche convinzioni sulla “inviolabilità” di questa o quella schifezza.

Per una società occidentale, sia essa francese o italiana, la satira ha rivestito una funzione di critica ai personaggi di potere davvero significativa. Si può che dire che ridere leggendo il Vernacoliere abbia forgiato una buona parte della mia identità politica di sinistroide mangiapreti, tra uno sfottò e l’altro. Nelle pagine del mensile labronico leggevo Don Zauker, personaggio perfetto per spiegare quanto forte comunichi e sia polemica la risata.

Don Zauker è un prete esorcista di una scorrettezza unica. Non è vicino alla dottrina cristiana, eppure è l’incarnazione degli scandali, dei segreti e delle porcherie che si consumano in una buona parte dell’ambiente cattolico. E’ un donnaiolo, un violento, razzista, omofobo, è un imbroglione e non ha particolari remore. Tutt’ora trovo il fumetto satirico esilarante e giustamente “acido” e “cattivo” – e lu suoi fan lo adorano.

In Italia e ovunque il cattolicesimo e le autorità cattoliche abbiano una rilevanza politica e culturale, una creatura del genere ha profondamente senso. E’ un graffio sulla lavagna, è una denuncia, è una beffa coraggiosa e irriverente a interi sistemi e a schiere di personaggi di spicco. Inoltre, Don Zauker ha il pregio di esser stato creato da due persone perfettamente “entitled” a disegnare di satira anticattolica e blasfema (Emiliano Pagani e Daniele Caluri), poiché per nessunu che sia cresciutu in un paese cattolico come il nostro le problematicità e l’influenza della Chiesa dovrebbero costituire un mistero.

Don Zauker da “Ego te dissolvo” (immagine trovata qui): “E basta, cazzo! In ginocchio, come per secoli vi abbiamo insegnato a fare nel nome di Dio! Prostratevi e pregate davanti a questo simbolo, che segna come nostro dominio qualsiasi luogo pubblico!”

La satira è un po’ quella che in tantu vorremmo semplicemente definire “una risata contro i potenti”. E’ un’arte che si fa in tante maniere, con illustrazioni o articoli dai contenuti sguaiati, sottili, volgari, fini oppure gretti. E, sempre per moltu di noi (anche voi, sì, sinistroidi mangiapreti come me) la satira dovrebbe avere dei confini: chi sopporta più lo squallore della ‘satira’ di Ghisberto? E’ misogino, omofobo, razzista e lo è davvero. Non fa finta (o se è così, è un bravissimo troll).

Tracciare dei limiti e contestare ferocemente l’odio diffuso da questa “satira” è giusto, giustissimo. Eppure facciamo ancora fatica a contrastare le produzioni contro le persone musulmane, aggrappandoci ai sacrosantissimissimi diritti di blasfemia e libertà d’espressione. Ancora non ci riesce essere alleatu dellu musulmanu.

Sì, ma Charlie Hebdo fa satira contro Allah e l’Islam, non contro i musulmani” è forse l’obiezione più comune. E noi, musulmanu, vi spieghiamo perché sia un semplicismo atroce.

Le persone musulmane e l’Islam sono legate a doppio filo. Da una parte, l’orientalismo occidentale – ovvero il modo in cui anche la Francia o l’Italia hanno rubato l’identità dei popoli colonizzati – dipinge la realtà dell’immigrazione o dei paesi asiatici e africani come un unico blocco monolitico in cui la religione ha una grossa prevalenza. L’immigrato o i suoi figli e nipoti non sono soggettività né membri di specifiche comunità, ma semplicemente sono “muSSulmani” provenienti dall'”Oriente”. Un Oriente magico come il tappeto di Aladino, le spezie e gli harem pieni di donne lascive, tuttavia anche violento, barbaro, aderente a un’unica versione dell’Islam. Un Islam “jihadista”, tagliagole, violento e meschino, praticabile solo tramite l’uso di sciabola e burqa incollati alla faccia delle donne, passive e obbedienti. Alcuni di questi muSSulmani forse parlano francese, se discendono dall’impero coloniale francese. Lo sappiamo, non importa in fondo da dove vengono, devono tornare tutti a casa loro, in “Mussulmania”: gli autori occidentali sanno benissimo che, nell’immaginario, l’Islam è la rappresentazione di questa massa indistinta.

D’altra parte, poi, l’Islam è effettivamente il collante di una buona parte delle comunità marginalizzate che ci si identificano. Lo è diventato quando abbiamo capito che era un modo per farci forza, noi e i vicini di casa costretti a tollerare le stesse discriminazioni e condizioni di vita che subiamo noi. Sebbene questa religione si suddivida in mille modi di interpretarla e di viverla – l’Islam del Beni Mellal marocchino non assomiglierà mai, ad esempio, all’Islam di Mogadiscio, senza entrare nel dettaglio dei vari cambiamenti storici e religiosi – diventa qualcosa in comune. Diventa un luogo di culto da condividere, un’associazione in cui lavorare assieme, una scuola di arabo per lu bambinu del quartiere e così via.

Questo succede ovunque, anche in Italia, e a maggior ragione accade quando le comunità musulmane sono agli angoli delle città dove manco passano i mezzi pubblici, quando lu musulmanu non riescono a avere accesso ai servizi, agli affitti, alle opportunità lavorative e alla vita sociale, oppure vengono aggreditu per strada o sistematicamente controllatu all’aereoporto o alle stazioni. Nel nostro paese anche avere un luogo di culto ufficiale è un’impresa titanica e pressoché ancora impossibile. E’ da notare anche che molti studi e ricerche in giro per l’Occidente denotano quanto la discriminazione e la propaganda islamofoba (razzista, xenofoba), nonché gli attentati contro lu musulmanu, abbiano fatto crescere i livelli di stress nelle comunità e creato o inasprito disturbi di vario tipo.

E’ consequenziale che un attacco all’Islam sia in verità un’occasione per colpire una fetta di popolazione già largamente torchiata, silenziata e emarginata. Senza contare che le famose vignette di Charlie Hebdo non sputano solo su Allah ed il Profeta, ma anche direttamente sullu credenti. Si continua addirittura a promuovere l’idea che queste attacchino in realtà il bigottismo religioso e l’estremismo, è tuttavia chiaro che non sia così. Potremmo dire che tale asserzione sia una forma di gaslighting.
La satira dovrebbe essere scomoda e non verso chi già vive un’oppressione cocente.

Però la critica alla religione è importante per combattere l’autoritarismo“. Idealmente, certo. Poi c’è la realtà. La pratica dell’Islam può sfociare nell’autoritarismo? Senza meno, ma l’Occidente non ha esperienza di “dittature islamiche”. L’Europa non ha idea di cosa voglia dire avere un sistema legale basato sull’interpretazione del diritto islamico, né di come e quanto il mix tra religione e cultura possa influire qui e là sulle vite dellu musulmanu. Come comunità, abbiamo problemi comuni in ogni parte del mondo ed altri completamente singolari e relativi allo spazio in cui l’Islam è professato.

Solo chi è passato da questa o quella comunità musulmana, dall’Islam, può avere un’idea definita e chiara in merito all’autoritarismo religioso “islamico”. In alcuni paesi sedicenti musulmani o a maggioranza musulmana si consumano da anni omicidi e persecuzioni contro le persone che osano sfidare lo status quo e le norme legali e sociali. Persone atee, blasfeme, credenti ma questioning e soprattutto persone che criticano le autorità religiose. Charlie Hebdo è giusto una vigliaccata: è facile parlare senza alcun entitlement e senza dover affrontare alcuna difficoltà profonda e radicata che non ci riguarda da vicino. Si sa, il peso delle parole dipende sempre da chi le dice.

Ma la satira è indice di civilizzazione!” invece è l’obiezione più becera. Il messaggio che trapela da un’affermazione simile è il seguente: le persone musulmane sono troppo bestiali per potersi intendere di valori, diritti e principi inviolabili per il nostro civilizzatissimo Occidente laico. Lo riconoscete il trucchetto di prima? Ci hanno detto che siamo solo vittimistu quando ci lamentiamo che qualche becera vignetta sia la ciliegina sulla torta di un’esistenza perennemente ai margini. Ce li spiegano codesti principi intoccabili, siccome non possiamo capire gli assunti del mondo civilizzato. Non li capiamo per definizione: l’Islam è un marchio a caldo e indica arretratezza, villania, ignoranza. Come fosse un segmento indelebile del DNA. Non possiamo capire, né parlare.

Similmente a altri sentimenti di oppressione come l’antisemitismo, l’islamofobia deumanizza il soggetto discriminato. Anche dopo ogni attentato terroristico da parte di estremisti in Occidente (perché, ricordiamo, non avvengono solo in questa parte di mondo ma anche in quello “musulmano”), ricominciamo a scrivere compulsivamente “not in my name” per sollevarci dal pregiudizio sulla nostra bestialità di musulmanu. Moltu di noi condividono affannosamente i volti dellu musulmanu che hanno soccorso le vittime in Europa o che sono statu vittime anch’essu, nel tentativo di impedire che ci deumanizzino del tutto assimilandoci indiscriminatamente al terrorismo che condanniamo.

Forse dovremmo cominciare ad ammettere che il dibattito sulle famose vignette tra persone musulmanu o appartenenti a comunità musulmane che subiscono islamofobia e le persone non musulmane sia totalmente impari.

L’insistenza nel volerci dire cosa dovremmo pensarne, quali norme dovremmo seguire, quanto la beffa e le discriminazioni dovrebbero ferirci è un comportamento colonizzatore. E’ sovradeterminante perché ci silenzia e si prende gli spazi che a noi sembrano non spettare, che di fatto non abbiamo. E per chi si definisce femminista, come la maggior parte delle persone che leggono questo pezzo, è un’offesa a ogni impegno di intersezionalità, decolonialità e allyship che ci siamo prefissatu nella nostra militanza politica.


[1] La psicoterapeuta palestinese Samah Jabr definisce il termine “islamofobia” come giustificazionista; infatti, giustificherebbe il comportamento violento degli “islamofobi come frutto della paura (“fobia”). Per questo “antimusulmanu” è sicuramente un termine appropriato. Trovate un post al riguardo molto interessante di Tamara Taher qui

[2] La provenienza della citazione è dubbia, tuttavia un sito di ricerca chiarisce la cronologia dell’uso di tale frase. Trovate tutto qui

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