“La nascita del Redentore”: Gesù e il primo Cristianesimo secondo Rosa Luxemburg – SLUM

Per il Natale interreligioso, il nostro intervento è stata la semplice lettura di questo scritto di Rosa Luxemburg su Gesù e il primo Cristianesimo tratto da Vorwärts, il quotidiano del Partito Socialdemocratico di Germania, n. 301 del 24 dicembre 1905.

Lo riportiamo ringraziando tuttə lə partecipanti! Lo abbiamo copia incollato da qui.

• • • • • • • • • • •

Sono passati più di diciannove secoli da quando l’umanità credente ha celebrato la nascita del figlio del falegname di Nazareth, annunciato all’umanità come salvatore. In un momento terribile della disintegrazione dell’antico Impero Romano, quando milioni di persone sprofondavano nella miseria, nella schiavitù e nell’umiliazione, in questa cupa notte sorse l’alba della redenzione cristiana, accolta dai poveri e diseredati con pia fede ed esultante speranza. E ancora oggi, come da quasi duemila anni, le campane di innumerevoli campanili in innumerevoli città e villaggi loderanno il ritorno di quel giorno gioioso, in alti palazzi e basse capanne gli abeti brilleranno a lume di candela e decorazioni di orpelli per la gioiosa celebrazione della nascita del Redentore.

Ma dov’è andata a finire la redenzione? Non ci sono milioni nel tormento quotidiano come lo erano migliaia di anni fa? E non vengono calpestati dai ricchi, come allora, da quelli che dovrebbero più difficilmente entrare nel regno dei cieli che un cammello passa dalla cruna dell’ago?Non è altro che una bugia pretesca quella per cui la gente viene persuasa che il cristianesimo abbia promesso e ottenuto la redenzione spirituale e non fisica, che il regno di Gesù non sia di questo mondo. La dottrina cristiana fu predicata e accettata come vangelo di redenzione dalla miseria materiale, dalla disuguaglianza sociale e dall’ingiustizia sociale, quaggiù sulla terra, e non come un desiderio indefinito per la felicità dell’aldilà.

Ma dov’è andata a finire la redenzione? Non ci sono milioni nel tormento quotidiano come lo erano migliaia di anni fa? E non vengono calpestati dai ricchi, come allora, da quelli che dovrebbero più difficilmente entrare nel regno dei cieli che un cammello passa dalla cruna dell’ago?

Non è altro che una bugia pretesca quella per cui la gente viene persuasa che il cristianesimo abbia promesso e ottenuto la redenzione spirituale e non fisica, che il regno di Gesù non sia di questo mondo. La dottrina cristiana fu predicata e accettata come vangelo di redenzione dalla miseria materiale, dalla disuguaglianza sociale e dall’ingiustizia sociale, quaggiù sulla terra, e non come un desiderio indefinito per la felicità dell’aldilà.

La redenzione dalle mostruose conseguenze del dominio di classe, dai contrasti sociali, dalla miseria quotidiana, dall’oppressione dell’uomo sull’uomo, delle masse da parte di un pugno di potenti – questo era il vangelo dei primi apostoli del cristianesimo ed era questo che ha portato schiere enormi di seguaci e credenti. Questa redenzione doveva essere così terrena, così realistica, così sensuale che i primi cristiani abbatterono immediatamente l’ascia con potenti colpi alla radice del male sociale, ai rapporti di proprietà. Il vangelo della redenzione cristiana era per secoli una fanfara di tromba della guerra contro i ricchi e la proprietà privata.

“Disgraziati”, gridò San Basilio ai ricchi nel IV secolo, “come risponderete al giudice eterno? Ci rispondete: Come posso aver torto se tengo per me solo ciò che è mio? Ma io vi chiedo: cosa definite di vostra proprietà? Da chi l’avete presa? In che modo i ricchi si arricchiscono se non impossessandosi di cose che appartengono a tutti? Se ognuno non prendesse per sé più del necessario per mantenersi e lasciare il resto agli altri, allora non ci sarebbero né ricchi né poveri“. E due secoli dopo, un altro valoroso guerriero di Dio, Gregorio Magno, tuonò: “Non basta non portare via i beni altrui; si è colpevoli finché se si appropria dei beni che Dio ha creato per tutti. Chi non dà agli altri ciò che ha è omicida e assassino, perché se tiene per sé ciò che sarebbe servito a preservare i poveri, si può dire che giorno dopo giorno ne uccide quanti potrebbero vivere della sua abbondanza.” I discepoli di Gesù usarono questo linguaggio tagliente contro la disuguaglianza sociale e con argomenti così prettamente terreni guidarono la causa dei diseredati; per redimerli il grande Nazareno fondò la sua scuola.

Ma le circostanze materiali si sono rivelate più forti dell’ardente discorso degli apostoli cristiani. Le parole di Giovanni Crisostomo, l’uomo dalla bocca d’oro, la voce tuonante del Grande Gregorio echeggiavano come la voce di colui che grida nel deserto. Il vangelo cristiano del comunismo e dell’abolizione della ricchezza ha cercato di resistere per un certo periodo allo sviluppo storico. Ma esso ha trascinato con sé l’audace barca dei redentori del mondo, l’ha ribaltata e l’ha costretta a galleggiare nel corso degli eventi. La società di classe ha piegato l’insegnamento al proprio servizio, la Chiesa del Redentore è diventata un nuovo pilastro della schiavitù millenaria delle masse.

Del vangelo della giustizia sociale le classi dominanti e i loro servi, i servitori della chiesa ne hanno fatto un vangelo della misericordia, della religione dei liberi ed uguali una religione di mendicanti e lebbrosi e dalla redenzione sociale terrena dalla fame, dalla miseria e dall’umiliazione un mondo fantasioso della «redenzione dell’anima» dopo la morte. Questo processo spietato di fusione storica della dottrina cristiana della salvezza continua fino ai nostri giorni. La società feudale medievale aveva trasformato il puro e audace comunismo cristiano nella misericordia cristiana morbosa e lacrimosa, nella dottrina della vita monastica in isolamento. L’età moderna capitalista ha reso la Charitas cristiana un’ipocrisia, una sfacciata presa in giro dell’insegnamento cristiano. In ogni società di classe in cui la miseria delle masse è una necessità sociale, l’ipocrisia è un’istituzione pubblica e statale. Ad ogni ulteriore passo nello sviluppo della società capitalista, l’abuso ipocrita della fede cristiana da parte delle classi dominanti diventa più grossolana e senza infingimenti.

Questa festa ufficiale del Natale è una miserabile ipocrisia, quando per celebrare la nascita del Redentore dei poveri, la nascita nella mangiatoia, la ricca borghesia sotto l’albero di Natale si abbandona a un lusso che disprezza le masse bisognose, infreddolite, affamate. La miserabile ipocrisia, le pie preghiere e gli sguardi verso il cielo degli untuosi servi della chiesa che, preparandosi al Natale, per la celebrazione della nascita del benevolo filantropo, benedicono in fretta i nuovi strumenti di oppressione e i nuovi fardelli per gli oppressi. Tutta questa cristianità ufficiale della società odierna è una miserabile ipocrisia, che ha scelto una notte di Avvento per strappare con una rapina l’ultimo boccone di pane quotidiano dalla bocca di milioni di lavoratori operosi. Poco prima della campana di Natale manda ai fratelli neri in Africa nuove atrocità di guerra, nuovi e terribili messaggi di annientamento come doni. L’unica cosa reale dell’odierna festa del Natale cristiano, da cui ogni spirito è scomparso, di cui rimangono solo la tradizione morta e l’abbagliamento sensuale, è il pino eternamente verde. Il saluto profumato della natura pura e fresca, l’albero che la chiesa cristiana ha rubato al vecchio mondo pagano ingenuo ed al suo culto del sole, piantato nel mezzo dell’estraneo, innaturale ambiente dell’ipocrisia borghese cristiana – per la gioia dei bambini e degli adulti-bambini.

Noi “schiere di proletari “, noi “senza patria”, noi fuorilegge, noi “miserabili” stiamo di fronte a questo mondo di ipocrisia cristiana ufficiale e con Prometeo chiediamo:

Io onorare te? Per cosa?

Hai mai alleviato il dolore

di chi soffre?

Hai mai spento le lacrime

dell’impaurito?

Anche noi celebriamo l’arrivo del Salvatore, il vero Redentore dell’umanità. In ogni società decadente, in cui la classe emergente e oppressa non è in grado di ritagliarsi nuovi percorsi per lo sviluppo attraverso la sua lotta, emerge la fede in un miracoloso redentore; l’umanità stanca e disperata si aggrappa alla rappresentazione di una personalità potente e salvifica che con la sua opera miracolosa redimerà tutti. L’antico popolo ebraico attendeva la sua liberazione dalla schiavitù egiziana da Mosè, nella Roma decadente Cristo si erge come redentore, agli inizi della società capitalista, prima ancora che il proletariato moderno entrasse sul palco della storia, un Fourier cercò al lungo il potente e ricco che doveva aiutarlo a realizzare il suo piano di salvezza dell’umanità.

Il Redentore socialismo ha consegnato nelle nostre mani il potente martello della lotta di classe e della conoscenza gridando: Redimetevi da soli! L’auto-redenzione dell’umanità attraverso la lotta del proletariato cosciente di classe, la redenzione delle masse non attraverso un redentore miracoloso, ma attraverso le masse stesse – questo è il pensiero-redentore del socialismo, il nostro vangelo di redenzione.

Anche noi celebriamo la nostra festa di Natale, accendiamo anche noi le luci sul nostro albero di Natale, oggi anche nei nostri cuori entrano gioia, speranza e fede. Perché la nostra redenzione avviene ogni giorno, ogni ora. Sentite il frusciare delle voci ed il rumore della battaglia da est? Là i nostri fratelli stanno già spezzando le loro pesanti catene, inizia l’auto-redenzione delle masse, il lampo ardente della conoscenza socialista ha già illuminato la vecchia oscurità, si brandisce il potente martello della lotta di classe, il popolo sta diventando colui che plasma il proprio destino.

Il Natale è stato celebrato per secoli anche lì nella “Santa Russia”. Ogni anno, alla nascita del Redentore, le campane assordanti risuonavano nella pia vecchia “Madre Mosca” dalle quaranta chiese bizantine con le loro ampie cupole terribilmente dorate. A San Pietroburgo, la nuova capitale degli zar, ogni anno veniva lanciato un fragoroso saluto militare per celebrare il Natale cristiano sulla riva del fiume Neva. I cristiani russi devotamente facevano tre volte la croce. Toccavano il suolo innumerevoli volte con la fronte imperlata di sudore. Anno dopo anno, il cristianesimo russo si rallegrava della nascita del Redentore, mentre milioni di piccoli contadini morivano di febbre tifoide e scorbuto, venivano bastonati per le tasse arretrate mentre centinaia di operai diventavano storpi per turni di 16 ore e venivano fucilati alla minima ribellione. Monotone campane di carri dei prigionieri risuonavano nell’infinita steppa innevata della Siberia e consegnavano un gruppo di esiliati dopo l’altro alla grande casa di morte dei lavori forzati nelle miniere. Ed erano trascorse meno di due settimane dall’ultimo Natale ortodosso quando la processione del Duecentomila con il crocifisso in mano si fermò davanti al palazzo dello zar a Pietroburgo per chiedere la liberazione dalla terribile schiavitù in nome del Redentore. I solenni suoni delle campane della festa di Natale non erano ancora svaniti nell’aria quando furono soffocate dalle fragorose raffiche di fucili, e il crocifisso del Salvatore sprofondò a terra, schizzato di sangue, cadde dalla mano del supplicante sotto una pioggia di proiettili dello zar arci-cristiano. Allora la massa del popolo si è raccolta e ha raggiunto l’auto-redenzione, dalla supplica e dalla speranza alla lotta, dal crocifisso – alla bandiera rossa della socialdemocrazia.

È passato un anno da allora, oggi torna il Natale, la Notte Santa si avvicina nella “Santa Russia” – sopra un cumulo di macerie fumanti dall’ex fortezza cristiana. La battaglia è ancora calda e il numero delle vittime è terribile.Ma la redenzione, l’auto-redenzione del popolo russo, l’auto-redenzione di tutti noi è iniziata. Lo stendardo rosso, il nostro simbolo di redenzione, nel tumulto della battaglia vola sempre vittorioso nell’aria e milioni di diseredati e affamati di salvezza si schierano attorno alla bandiera d’assalto in tutto il mondo. Con cuore che batte, pieno di fede e speranza, oggi inviamo sguardi in Oriente e accompagniamo con gioia ogni movimento dell’orgoglioso stendardo. I primi muri della vecchia società iniziano a crollare, la bandiera rossa avanza vittoriosamente al primo assalto.

E così celebriamo oggi il nostro Natale, separati da un abisso dall’ipocrita mondo borghese-cristiano con le sue ipocrite celebrazioni, preghiere e campane. Riuniti intorno al nostro verde albero della vita, fermi nella fede e felici nella speranza dell’avvicinarsi della salvezza, sostenuti dal martello incessante – simbolo del nostro lavoro e della nostra liberazione, celebriamo la nostra festa del lavoro, noi milioni di miserabili e diseredati, una stipe forte, orgogliosa e ribelle e al mondo cristiano dominante e bugiardo gridiamo, come Prometeo:

Sono qui, a plasmare gli esseri umani

secondo la mia immagine

Una stirpe che è uguale a me

Soffrire, combattere

Godere ed essere felici

Lascia un commento

Crea un sito web o un blog su WordPress.com

Su ↑