Scrivendo e traducendo ci siamo accort* che molti articoli e post riguardanti l’Islam e le comunità islamiche sono ricchi di parole arabo-islamiche forse non conosciute, o fraintese, da molt*. Abbiamo pensato di pubblicare questo breve glossario di parole fondamentali per rendere più semplice la comprensione di pubblicazioni sui relativi temi.
Si ringraziano per la stesura di questa legenda le slummine Margherita D’Arnaldo e Eleonora Pede, nonché per la loro partecipazione Meilin, Jigoku e Irene.
In copertina un’opera di Lalla Essayidi, dal progetto “Les Femmes Du Maroc”
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Al-ahkām al-khamsa: Le categorie dell’azione umana. La giurisprudenza islamica (fiqh) ha classificato le azioni umane in cinque categorie:
1. Atto obbligatorio (fard) o necessario (wājib), quello che il musulmano deve compiere accompagnato dalla nīyya, la volontà, affinché vi sia una ricompensa nell’Aldilà; l’omissione di un atto obbligatorio costituisce un peccato punibile nell’altra vita. All’interno di questa categoria sono stati distinti gli obblighi tra l’uomo e Dio (fard al-ʻayn), che deve compiere il credente in persona, come il dovere delle cinque preghiere; e i doveri dell’uomo come membro della comunità o doveri collettivi (farḍ al-kifaya), che devono essere compiuti dalla comunità dei credenti nel suo complesso (umma) per avere un effetto, come la zakāt, l’elemosina legale, ed il jihād.
2. Atto meritorio (mandūb), raccomandabile o desiderabile (mustahabb), chi lo compie è meritevole in questa vita e nell’altra (il matrimonio ad esempio).
3. Atto permesso (mubāh) o lecito (halāl), il fedele è libero di compierlo senza che vi sia ricompensa o punizione.
4. Atto riprovevole (makrūh) è l’opposto di quello raccomandato, chi lo compie non è degno di lode (ad esempio il divorzio).
5. Atto illecito (harām) o vietato, chi lo compie è punibile in questa vita e anche nell’altra.
Allāh: Il nome con cui Dio definisce sé stesso nel sacro Corano. Etimologicamente viene dalla radice semitica ‘-l-h che indica l’entità divina in maniera generica. Combinato con l’articolo il termine indica l’Unico Dio, che il Corano descrive così: “Egli, Dio, è l’Uno/Dio l’Eterno/Non generò né fu generato/e nessuno Gli è pari” (sūra 112). Associare nel culto dovuto a Dio qualunque altro essere o divinità costituisce shirk, l’unico peccato definito come imperdonabile dal Corano. Nel Corano Allah viene nominato con altri 99 nomi, ognuno dei quali indica in maniera profonda e sublime la natura e l’essenza divina.
‘Ālim (pl. ‘ulamā): Questo termine, che letteralmente indica il “dotto” o “sapiente” nel suo senso più ampio, è in genere riferito all’esperto di scienza religiosa, un ruolo che nell’Islam riassume quelli di teologo e di giureconsulto.
Arkān (al-Islām): I ‘pilastri dell’Islam’, i cinque obblighi fondamentali cui ogni musulmano deve attenersi per definirsi ed essere definito tale: la professione di fede (shahāda), la preghiera rituale (salāt), l’elemosina legale (zakāt) il digiuno nel mese di Ramadan (sawm) il pellegrinaggio alla Mecca (hajj)
Āyat: Indica il ‘versetto’, un’ulteriore ripartizione delle sure del Corano, da un termine arabo che significa “segni/prodigi”. Il Corano comprende 6236 versetti. Dalla parola āyat deriva il termine ayatollah, usato per definire un dotto sciita che soddisfa tutti i requisiti richiesti per essere un probo dotto del fiqh.
Da‘wa: Con questo termine, letteralmente “invito”, o “appello”, si indica solitamente la predicazione dell’Islam, la diffusione del messaggio coranico.
Dhikr: Letteralmente “menzione” del nome di Dio, è un esercizio spirituale utilizzato nelle confraternite sufi che consiste nella ripetizione costante e ritmata dei nomi di Dio o della formula La ilāha illā Allāh (Non c’è dio all’infuori di Dio).
Dīn: Generalmente tradotto come “religione”, indica letteralmente l’insieme di obblighi che Dio impone all’essere umano, il primo dei quali è la sottomissione a Lui. Il dīn si compone di tre parti: l’Islām (inteso come ortoprassi), l’imān (la fede), e l’ihsān (l’eccellenza nella fede e nella prassi, “adorare Dio come se lo vedessi; perché, se tu non lo vedi, Egli certamente ti vede”)
Du’ā: Un tipo di preghiera diverso dalla salāt obbligatoria, in quanto è volontaria, e può quindi essere fatta in qualsiasi momento il musulmano lo ritenga necessario o opportuno.
Fatwa: Opinione legale espressa da un esperto autorevole (mufti) in risposta a una domanda posta da un singolo individuo o da un’istituzione.
Fiqh: Giurisprudenza islamica. L’insieme delle leggi elaborate dai giuristi al fine di applicare a ogni situazione i principî e le norme della shari‘a. Per quanto i due termini siano spesso confusi, la shari‘a si riferisce all’insieme dei principi e delle norme stabiliti da Dio, mentre con fiqh si intende l’interpretazione umana di tali norme. L’esperto in giurisprudenza islamica è detto faqīh (pl. fuqahā).
Hadd (pl. hudūd): Letteralmente, “limite”. Nella terminologia giuridica, indica la pena prevista per alcuni crimini che sono esplicitamente proibiti e sanzionati in modo chiaro nel Corano, e che sono quindi considerabili come crimini contro Dio e l’Islam: gli atti sessuali illeciti, la falsa accusa di atti sessuali illeciti, il consumo di alcolici, il furto, il brigantaggio e l’apostasia.
Hadīth: Letteralmente ‘racconto’, viene usato in riferimento ad aneddoti relativi a detti o fatti del Profeta Muhammad, trasmessi oralmente dai suoi contemporanei alle generazioni successive, e messi per iscritto in forma definitiva nel corso del terzo secolo della storia islamica. Ciascun hadīth è composto da due parti: l’isnād, la catena di trasmettitori, e il matn, il contenuto vero e proprio del testo. In ambito sunnita esistono sei raccolte canoniche di hadith, in ambito sciita quattro; l’autenticità dei hadīth è tuttavia oggetto di un acceso dibattito all’interno degli studi islamici contemporanei.
Halāl: Questo termine, che molti conoscono come meramente legato all’alimentazione, in realtà indica più generalmente ogni atto considerato ‘lecito’ dal diritto islamico. È in genere posto in contrapposizione binaria con il concetto di harām (illecito), anche se il diritto classica le azioni umane in cinque diverse categorie (cfr. ahkām al-Islām)
Hajj: Pellegrinaggio alla Mecca, uno dei cinque pilastri dell’Islam. Ogni musulmano fisicamente ed economicamente in grado è obbligato a svolgerlo almeno una volta nella vita.
Harām:Questo termine ha il significato opposto a quello di halāl, significa, infatti, proibito/illecito. Con questa parola si indicano, infatti tutti quei comportamenti, quegli atti che ci allontanano da Allah e ne causano anche l’ira. Non badare agli ammonimenti sui divieti comporta delle sanzioni.
Hijāb: Traducibile Letteralmente come ‘cortina’, o ‘schermo’, il termine viene utilizzato soprattutto in riferimento a un capo di abbigliamento femminile, il velo che copre i capelli e il collo. Spesso considerato un obbligo religioso per ogni musulmana, che dovrebbe indossarlo in presenza di ogni uomo che non sia un parente stretto, fa tuttavia riferimento a un principio generale di modestia che è ed è stato interpretato in modo molto diverso nei differenti contesti storici e geografici in cui si è diffuso l’Islam.
Hijra: Spesso italianizzato in egira, indica la migrazione del Profeta Muhammad da Mecca a Medina nel 622, un evento che costituisce l’anno zero del calendario musulmano.
Ijmā’: Consenso, accordo dei dottori della Legge (fuqaha’) su un determinato argomento.
Jihād: Letteralmente “sforzo” sulla via di Dio. Questo termine, spesso erroneamente tradotto come “guerra santa”, ha numerosi e diversi significati, che vanno dal jihād interiore compiuto da un individuo contro i propri desideri e le proprie passioni alla guerra contro gli infedeli. Il jihād interiore, o “grande jihād” è considerato usualmente prioritario rispetto del jihād esterno, o “piccolo jihād”. Colui che intraprende il jihād è chiamato mujāhid.
Imām: In arabo questo termine può assumere due significati. Il primo è quello di successore del Profeta e sovrano di tutti i musulmani, e può essere quindi considerato un sinonimo di “califfo”. Questo significato assume particolare rilevanza nello sciismo, nella cui dottrina l’imam è stato designato dal Profeta, trasmette la sua carica per via ereditaria, e possiede qualità eccezionali che le rendono vicino a Dio. La diversificazione fra le varie sette sciite deriva principalmente dalla concezione dell’imamato, attribuito a un numero variabile di discendenti del Profeta. Il secondo, maggiormente usato nel sunnismo, indica la persona che ha il compito di guidare la preghiera collettiva del venerdì. Per quanto l’imam di una moschea ricopra tradizionalmente il ruolo di guida spirituale per la sua comunità, le sue funzioni possono essere svolte da qualunque musulmano capace e non implicano alcun tipo di ordinazione sacerdotale.
Khutba: Sermone pronunciato dall’imam di una moschea nell’ambito della preghiera rituale collettiva del venerdì.
Kufr: Il termine indica il contrario di imān (fede), ed è quindi traducibile come “miscredenza”, o mancanza di fede. Il miscredente è detto kāfir. Il diritto islamico ha elaborato numerose tipologie differenti di “kufr”, che può includere i veri e propri atei, i seguaci di altre religioni, o gli stessi musulmani che abbiano ripudiato i principi basilari della propria religione
Nikāh: Indica il matrimonio, concepito non come un sacramento ma come un contratto civile tra due persone. Il celibato non ha alcuna connotazione positiva nell’Islam; pur non essendo obbligatorio, il matrimonio è considerato un contratto per rafforzare la umma, e secondo un hadīth del profeta, “quando un servo di Dio si sposa, perfeziona metà della sua religione”. In alcune scuole giuridiche islamiche per considerare un matrimonio valido vi deve essere la presenza di un walī, un parente di sesso maschile della sposa che stipuli il contratto. Il matrimonio può essere considerato nullo (butlān) ad esempio quando vi è una parentela di sangue (o di latte), se la donna è già sposata, in caso di malattia mortale o infermità.
Qiyās: Letteralmente, “analogia”, è considerato la quarta fonte del diritto islamico dopo il Corano, la Sunna e l’ijmā. Di fronte a una situazione nuova, il giurista interpreta la Legge mediante un ragionamento analogico, facendo quindi riferimento a casi simili la cui soluzione sia già stata chiarita in base alle tre fonti più importanti.
Ramadān: Nono mese del calendario islamico, mese in cui si compie il digiuno dall’alba al tramonto, è un precetto per i musulmani adulti ad esclusione però di anziani, donne incinte, in fase di allattamento e durante le mestruazioni, malati e diabetici. Durante il mese sacro dell’Islām il fedele dovrebbe astenersi dal consumo di cibi e bevande, da attività sessuali e dal fumare. Il mese termina con la celebrazione del ʿīd al-fitr (festa dell’interruzione)
Salāt: La preghiera canonica, uno dei cinque pilastri dell’Islam (insieme alla professione di fede, il hajj, la zakāt e il digiuno di Ramadan). I fedeli sono tenuti a compierla cinque volte al giorno, secondo una sequenza definita di movimenti e formule rituali. Gli orari, ora disponibili anche in Internet, seguono il corso del sole nel cielo e variano quindi a seconda del luogo e del giorno dell’anno.
Sawm: Questo termine indica il digiuno canonico, ovvero obbligatorio, per tutti i musulmani puberi e nelle condizioni psicofisiche adatte ad adempierlo. Tale digiuno ha la durata di 30 giorni e viene osservato durante il sacro mese di Ramadan. Il digiuno è il quarto pilastro della religione islamica.
Sharī‘a: Letteralmente “il sentiero che porta all’abbeveratoio/ la grande via/ la strada battuta/ la via dritta”. È l’insieme delle regole della vita, cioè il cammino da seguire per il buon musulmano che vuole compiacere Allah. È più propriamente un codice di comportamento etico, privo, almeno in teoria, di coercizione. In quanto legge divina, cioè incarnazione della volontà divina, essa va perseguita sia nella sfera privata, sia in quella sociale.
Shahāda: “Professione di fede”, o più esattamente “testimonianza di fede”. È il primo, fondante e fondamentale pilastro dell’Islām. È l’atto con cui ogni musulmano dichiara di credere in un unico Dio e crede nella missione profetica di Muhammad (Maometto).
Sufi: Seguace del sufismo, in arabo tasawwuf, termine che sta a indicare la corrente mistica dell’Islam. I sufi, la cui esistenza è apparsa fin dal primo secolo di storia islamica, sono solitamente organizzati in confraternite, o turuq (sing. Tarīqa, letteralmente “via”) sotto la guida di uno shaykh. Nel mondo islamico esistono centinaia di turuq, ciascuna delle quali impone una disciplina diversa per raggiungere però uno stesso fine, ovvero la congiunzione spirituale del musulmano con Dio. Il sufismo è stato spesso osteggiato dall’ortodossia musulmana, che ne temeva una deriva antinomistica.
Sunna: Letteralmente, “tradizione”. Nel corso dei primi secoli della storia musulmana questo termine, che originariamente indicava i buoni costumi introdotti con l’avvento dell’Islam, è andato progressivamente a indicare l’insieme dei detti e dei comportamenti del Profeta Muhammad che costituiscono, nel loro insieme, la seconda fonte del diritto islamico dopo il Corano.
Sūra; pl. Suwār: L’etimo di questo termine è incerto. Si pensa derivi dalla radice araba che significa “recinzione/recintare” quindi per estensione anche definire, alcuni linguisti, però, sostengono che significhi “filare/mettere in fila/ linea di mattoni/sequenza”. Con questa parola si indica ognuna delle 114 ripartizioni (o capitoli)del Corano. Ogni sūra è a sua volta suddivisa in āyāt.
Tafsīr: Commentario coranico, opera di esegesi del Corano. Lo scopo del tafsīr è spiegare il contenuto e gli insegnamenti del testo coranico ai credenti, secondo diverse prospettive – ad esempio grammaticale, giuridica, tematica o allegorica. In questo ultimo caso è più corretto parlare di ta’wīl.
Takfīr: Termine traducibile con “scomunica”, indica la dichiarazione attraverso cui una persona che si professa musulmana viene qualificata come miscredente. Le legittimità del takfīr è controversa nel diritto islamico classico come moderno.
Talāq: consiste in una triplice dichiarazione verbale da parte del marito, può essere revocabile o definitivo (in questo caso si scioglie immediatamente il vincolo nuziale e prima di ri-sposare la stessa donna essa deve essere stata sposata ad un altro ed aver consumato il matrimonio). In genere le tre dichiarazioni di ripudio devono essere pronunciate a distanza di tempo per permettere al marito un ripensamento e non vanno pronunciate se la donna è in stato di allattamento o incinta o durante il ciclo mestruale. Il pronunciamento unico è proibito. Da non confondere con khulʻ cioè il divorzio che può richiedere anche la donna ridando indietro la dote ricevuta per il matrimonio. Q.2:229
Taqwa: ‘Timor di Dio’, un concetto equiparabile alla pietas dei latini.
Umma: Questo termine indica la comunità dei credenti. Riferito originariamente alla prima comunità islamica costituitasi a Medina dopo la hijra, è andato poi a indicare la comunità islamica universale, l’insieme di tutti i musulmani del mondo. Dopo la caduta del califfato (1924) e la formazione nell’area mediorientale degli stati territoriali, questo termine è stato anche utilizzato per tradurre il concetto di “nazione”.
Zakāt: Indice l’elemosina legale, uno dei cinque pilastri dell’Islam. Più che di un’elemosina nel senso cristiano del termine si tratta di una tassa progressiva, imposta su alcuni beni che si ritiene generino crescita economica e siano posseduti in quantità superiore a un ammontare determinato, variabile a seconda del bene. I proventi di questa tassa sono destinati alle categorie più deboli della comunità, che sono esentate ovviamente dal pagarla.
Zinā: con questo termine, nel diritto islamico si fa riferimento alle relazioni sessuali illecite, cioè pre – o extra- matrimoniali. Secondo le scuole di diritto islamico più diffuse, la pena prevista per questo tipo di peccato è la lapidazione, nonostante il Corano non la nomini. A subirla saranno il coniuge adultero ed il partner, a condizione che il crimine sia comprovato da quattro uomini adulti che abbiano assistito alla penetrazione o che sia stato resa una confessione.
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